
Vanadium – A Race With The Devil
by Simone Rossetti
Preistoria e Storia, la prima riguarda i “tempi” la seconda un’attitudine, se il discorso può sembrarvi un pò complesso è solo perchè viviamo un presente fatto di un nulla incombente ma (sembra) alquanto appagante; per la cronaca parliamo di musica, quella fatta bene e nient’altro, il resto, quello che potete leggere fra le righe, sono solo sensazioni, umori. Mettetevi comodi, perchè la Storia (del metal) nel suo lento scorrerere è fatta anche di album “minori” come questo ma soprattutto di quell’attitudine quasi del tutto persa; ci fu un tempo (molto tempo fa) che il metal era ancora e solo metal, per capirsi, senza ancora le naturali evoluzioni che ne seguiranno, thrash, speed, power, hair, black, death, folk e tutto quello che volete; siamo agli albori degli anni ’80, la formazione dei Vanadium troverà uno stabile equilibrio con Pino Scotto alla voce, Stefano Tessarin alla chitarra, Massimo Prantera al basso, Ruggero Zanolini alle tastiere e Lio Mascheroni alla batteria e questo A Race With The Devil sarà il loro secondo album (primo a tutti gli effetti con una formazione ufficiale) pubblicato nel 1983 per la storica (nel senso che oramai è un nome che appartiene solo alla storia ed al suo oblio) etichetta milanese Durium; anche i Vanadium oggi appartengono alla Storia ma quella con la s maiuscola, furono fra i primi gruppi italiani a proporre nel nostro paese e con un buon riscontro le sonorità della “ancora” nascente NWOBHM, per capirsi, il metal al suo nascere e nel suo essere, Iron Maiden prima di tutto e tutti ma anche Saxon e Judas Priest, pur mantenendo comunque un approccio musicale molto hard-rock anni ’70. Non si può parlare dei Vanadium senza parlare di Pino Scotto, non si può ma noi lo faremo ugualmente perchè il gossip non ci interessa né tantomeno le discutibili future scelte del buon vecchio Pino che “malgrado se stesso” resterà comunque un grande dell’heavy metal italiano; era il 1983 quando arrivò nei “migliori negozi di dischi” (che bello poterlo scrivere) questo A Race With The Devil e fu come se il “vangelo del metallo” fosse stato finalmente tradotto nella nostra lingua (anche se cantavano in inglese), nell’immaginario collettivo fu una specie di rivelazione biblica, un pò come vedere i primi film “porno” su Tele Capodistria solo che il metal era ancora meglio, era e sarebbe rimasto, il Sacro Fuoco. Detto questo non aspettatevi il classico capolavoro ma un buon album sì, ottimamente suonato (registrato un pò meno) e con la giusta attitudine; si parte a razzo con la buona Get Up Shake Up, un hard rock tiratissimo in stile Deep Purple con un bellissimo solo alla chitarra di Tessarin ma è tutto l’insieme che per una qualche strana alchimia suona “metal”, così come nella successiva I Gotta Clash With You dagli echi Priestiani mentre le tastiere di Zanolini riportano al miglior prog rock di settantiana memoria; il capolavoro (si, avete letto bene e questa volta lo scriviamo a nostro rischio e pericolo) è la splendida Don’t Be Lookin’Back, un’intro acustica che lentamente si aprirà ad un crescendo “epico” di rara bellezza, un pezzo banale come bere un bicchiere d’acqua ma provate a berlo quando siete proprio “alla frutta”, la sensazione sarà più o meno la stessa. Non male anche l’incedere Maideniano di Running Wild che evolverà poi su sfumature più alla DP mentre Fire Trails scorrerà via in un più classico rock’n’roll blues (non imprescindibile ma con buone armonizzazioni); si prosegue con la più veloce ed intensa Outside Of Society grandi riff di chitarra ed un refrain mozzafiato, un grande pezzo che ovviamente non farà la storia dell’heavy metal ma chi se ne frega, è un bel pezzo e basta; a concludere la strumentale Russian Roulette, un’affascinante miscela di prog-hardrock-metal che vi spazzolerà le budella e vi eleverà verso un oltre, tecnica, pancia e cuore. Il dopo (perchè c’è sempre un dopo) seguirà il corso della storia e dello stesso metal fino al loro naturale scioglimento; era il 1989, il mondo stava cambiando ed anche noi. Resta quel bicchiere d’acqua, unico ed irripetibile, al quale abbeverarsi ancora oggi forse per un’ultima volta; siete su Roots! dove tutto è (ancora) possibile. Buon ascolto (qui o qui).