Roots! n.300 novembre 2021 Unità Di Produzione

Unità Di Produzione - Antropocene

Unità Di Produzione – Antropocene

by Simone Rossetti

Nuove isterie digitali, folle progresso retrivo, richiusi nella prigione del secolo” (tratto da Prigione Del Secolo)

Ho un vago ricordo di mia nonna che soleva dire “Se l’agnello non ti piace al primo morso non ti piacerà più” ed era vero. Cosa c’entra con la musica? Probabilmente nulla o forse si perchè questo Antropocene non è fortunatamente un agnello, è altro, sicuramente un bell’album che però ad un primo morso (ascolto) non ci aveva convinti del tutto, solo una prima impressione (sbagliata), nei successivi ascolti abbiamo iniziato ad apprezzarlo per quel che è, “limiti” compresi, il che vuol dire solo una cosa, che ha spessore, sostanza, identità. Precisazione, non siamo qui per dirvi se un album è “bello o brutto”, cosa che lasciamo ad altri e della quale non ce ne può fregare di meno, parliamo di musica, poi ci sta anche di sbagliare, non sarebbe la prima volta e non sarà sicuramente l’ultima ma è un rischio che crediamo valga la pena correre ed è il motivo per il quale scriviamo qui. Antropocene, parola arcaica, dal sapore antico, che vuol dire tutto e nulla, “L’epoca geologica attuale, in cui l’ambiente terrestre, nell’insieme delle sue caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche, viene fortemente condizionato su scala sia locale sia globale dagli effetti dell’azione umana” (cit. Traccani), non solo, è anche l’ultima uscita per questi Unità Di Produzione, Meneghello Andrea alla batteria, voce e synth, Ghisalberti Davide alle chitarre, tastiere e synth e Ghisleni Elvis al basso, voce, synth e tastiere, band bergamasca nata sul finire del 2014, Monolite il loro Ep di debutto (2016) al quale seguirà nel 2018 l’Lp Abisso mentre è proprio di questi giorni l’uscita di Antropocene (Autoproduzione / Bunker Antiatomico). Non avranno vita facile questi ragazzi ed è un bene, album ad un primo ascolto ostico, non difficile ma sicuramente “scostante”, compositivamente e per i testi (molto belli), sonorità post-punk (meglio dire post post-punk) ed alternative rock primi anni 90, un mix che “ideologicamente” non rientra proprio nelle nostre corde ma ugualmente tanto di cappello perchè riesce ad elevarsi al di sopra di un panorama nazionale (musicale e non) desolante; atmosfere e testi molto cupi e riflessivi, nessuna banale concessione ad un approccio più radiofonico ma un’estetica ed un linguaggio personalissimi, diremmo quasi da “prendere o lasciare”. Un primo ed iniziale “spaesamento” che ha poi lasciato il posto ad un gran bel sentire, a partire dalla voce di Ghisleni, uno stile ed una timbrica fra il declamato ed il salmodiante che ci ha ricordato Giovanni Lindo Ferretti (CCCP prima, C.S.I. poi ed infine P.G.R., poi altro, discutibile); si, all’inizio ci ha lasciati un pò perplessi, non tanto la voce in sè quanto il “legarsi” con queste sonorità, sbagliato, c’è voluto un pò ma poi abbiamo capito ed Elvis è indiscutibilmente bravo (che poi possa piacere o meno è un altro discorso). Album che lasciamo a voi il piacere di scoprire nella sua interezza, non vogliamo né abbiamo la presunzione di “spiegarvelo”, vi daremo solo quell’input iniziale (più o meno veritiero, speriamo lo sia). 1000 Anni ha un intro in puro post-punk anni 80 per poi evolversi in atmosfere più alternative rock (o post-rock) con una interpretazione vocale di Elvis veramente notevole, intensa, scura, severa, ammonitrice di un destino incombente e comune; Prigione Del Secolo è un altro piccolissimo capolavoro che compositivamente e musicalmente ci ricorda i migliori C.S.I. (Consorzio Suonatori Indipendenti) attenzione però, i tempi sono altri, sono altro ed è con questo presente che gli Unità Di Produzione si confrontano, che dire, bello, breve e terribilmente vero. “Scienza del controllo della comunicazione, Nell’animale e nella macchina, Pensiero di sistema regolarità statistiche, Rappresentabili, Macchine senzienti, calcolanti, Reagenti, Oltre alla libertà e alla dignità vi è, La cibernetica”, questa è Tecnocrazia, amarissima, libera di spaziare fra post-rock e linee funkeggianti (una sezione ritmica di tutto rispetto) e con una apertura armonica nel refrain veramente bella quanto dolorosa; c’è la splendida Estetica Del Declino con il canto “strascicato” del sempre bravissimo Ghisleni, un pezzo che meriterebbe ben altro da quello che, forse (ma speriamo ovviamente di no), sarà il suo destino, un crescendo lento e malinconico che non vi darà tregua e lo sapete perché? No, non ve lo diremo, scopritelo da soli “Estetica del declino, Ombre lontane, Fronde spettrali, Rimpiango la primavera”; e chiudiamo con la breve Pulviscolo, breve ma di intensa e fragile bellezza, un testo che qui non riporteremo perchè inscindibile dalla stessa musica ed è un tutto che affascina. Album, che non neghiamo, ha anche i suoi “limiti” ma qui si entra in un ambito di considerazioni personali che come al solito lasciano il tempo che trovano, potremmo dirvi che forse alcuni brani peccano di una certa “ripetitività”, o meglio, di quel “guizzo” compositivo che invece troverete in altri ma è anche normale (si potrebbe dire la stessa cosa per i Beatles o per i Rolling Stones), di una cosa però siamo certi, rispetto a quanto ci viene propinato ed incensato quotidianamente questo Antropocene è un bel sentire, un qualcosa di originale, libero, ostinatamente sincero, onesto ed ora possiamo anche (e finalmente) dirlo, un album dolorosamente e malinconicamente bello. Da Roots! è tutto e come sempre buon ascolto (qui o qui).     

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