Roots! n.173 maggio 2021 Ultravox! – Ha!-Ha!-Ha!

Ultravox! - Ha!-Ha!-Ha!

Ultravox! – Ha!-Ha!-Ha! 

by Simone Rossetti

Ci fu un tempo (lo sappiamo, bruttissimo inizio ma per questa volta consentitecelo), quindi, ci fu un tempo in cui imbattersi in un album come questo era un qualcosa di ordinario, in effetti di ordinario non c’era nulla, anzi, era tutto così “straordinario”; eravamo ancora lontanissimi dalla mediocrità e dalla banalità di questi giorni, solo che nessuno lo sapeva, almeno non ancora. Quando uscì Ha!-Ha!-Ha! (era il 1977) praticamente passò inosservato ed è facilmente spiegabile, mentre tutti guardavano al punk (culturale e musicale) gli Ultravox! (con il punto esclamativo, quelli senza saranno un’altra storia) di John Foxx stavano già guardando oltre. L’influenza del punk c’è e si sente soprattutto nelle prime tracce ma è più una questione di attitudine che musicale, al classico chitarra-basso-batteria si aggiungeranno tastiere, synthesiser, viola, sassofono e drum-machine, quel che ne uscirà fuori sarà un qualcosa di “nuovo” ed allo stesso tempo di “vecchio”, un post-punk sperimentale di ispirazione dadaista (le avanguardie culturali del Cabaret Voltaire di Zurigo, quindi si risale ai primi del ‘900), un suono, romantico e decadente, che guarderà più alla Mittel-Europa che alle sonorità d’oltremanica, ma anche un suono alienante, post-industriale, una Berlino esistenzialista con già tutte le macerie del nuovo mondo sulla propria pelle. Lato A che si apre con un’elettrica RockWrok, forse il brano che più si avvicina ad uno stile puramente punk, almeno ad un primo ascolto, in realtà assume un andamento quasi teatrale con le svisate di piano che riportano ai fasti del Folies Bergère, il famoso music-hall parigino dove nei primi del ‘900 venivano presentati spettacoli di varietà, balletti, operette e dove si esaltava il nudo femminile, espliciti i riferimenti al sesso vissuto quasi come un’ultima spiaggia prima che un nuovo caos travolga tutto; The Frozen Ones, due schiocchi di dita ne scandieanno il tempo poi il canto alienante di Foxx “All bridges built for burning,how can there be anything wrong?aren’t we the frozen ones?” solo pochi secondi ma che la dicono lunga sulle possibilità di questa band; ancora più sospinta Fear In The Western  World, una scheggia impazzita dove il caos di questo mondo si farà ancora più palpabile ed a chiudere il primo capolavoro, una Distant Smile da lasciare senza fiato, dove perdersi fra le note malinconiche del pianoforte iniziale sarà un attimo. The Man Who Dies Every Day apre il lato B, glaciale e misteriosa, la storia di un uomo perso chissà dove (forse una spia?), drum machine e synth a scandirne un tempo marziale ed irreale, segue Artificial Life, altro capolavoro, il canto si fa declamatorio, trovare una propria indentità nel caos e nonostante il caos, questo è l’importante; c’è While I’m Still Alive dalle linee quasi pop che si lascia cantare che è una meraviglia ma è nella drammaticità del refrain che vi si rivelerà questa piccola gemma; e si chiude con il botto, Hiroshima Mon Amour, romantica, decadente, sensuale, trovate voi gli aggettivi che riterrete più opportuni; il distacco dal punk si è compiuto, niente è mai indolore ma bisogna comunque attraversarlo, solo allora si potrà spiccare il volo con una ballad come questa e ricamarci sopra la melodia di un sassofono (un immenso C.C.). Ci fu un tempo quindi e c’è un tempo, il caos si è ridotto ad un format televisivo per milioni di inebetiti o al peggio in una triste maschera delle nostre umane miserie, tiriamo avanti senza porci domande, assuefatti e dipendenti da un ingannevole “meno peggio”; se non avete già spento siete sempre in tempo a farlo oppure potrete scegliere di ascoltarvi questo Ha!-Ha!-Ha! con tutto il suo (e nostro) naturale caos e dolore, vivo, più che mai necessario. Da Roots! è tutto e come sempre buon ascolto (qui o qui).

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