Roots! n.114 marzo 2021 Tuxedomoon

Tuxedomoon - Desire

Tuxedomoon – Desire

by Simone Rossetti

Se amate il cinema di Wim Wenders questa sarà musica per le vostre orecchie (e non solo), in caso contrario (giustamente comprensibile, è sempre una questione di gusti personali) sarà come lasciarsi andare ad un vuoto modulare aspettando che un angelo acrobata venga a recuperare la vostra anima per riportarla all’ineluttabilità di questa vita; avevamo lasciato i Tuxedomoon con Half-Mute (ne parleremo a breve) loro album d’esordio datato 1980, un suono ancora in parte legato al post-punk ma già influenzato da sonorità europee, musica colta, free jazz e contaminazioni sperimentali; stanziatisi definitivamente in Europa, tra Amsterdam, Bruxelles e Berlino nel 1981 rilasciarono questo Desire; se un capolavoro al pari di Half-Mute spetta solo a voi giudicarlo ma non è indispensabile e lascia il tempo che trova, è importante quello che andrete ad ascoltare; con questo lavoro i Tuxedomoon si distaccheranno completamente da certi stilemi punk e rock per portare la loro musica verso un oltre, oltre la stessa musica come percezione solo auditiva (e quindi non visiva), un circo onirico e surrealista, una tela astratta, edifici e volti destrutturati, città involucro dentro un nulla; in psicanalisi i tedeschi direbbero “Traumarbeit”, più o meno la trasformazione del sogno in un contenuto manifesto che viene ricordato nello stato di veglia. I primi quattro brani iniziali East, Jinx, °°° e Music # 1 sono racchiusi in un unica traccia, distinguibili ma senza i classici “microsolchi” di silenzio, un manifesto concettuale di questo circo dell’assurdo, una girandola di personaggi che si muovono all’interno di un sogno in bianco e nero; East ha la bellezza malinconica e autunnale di un sax che squarcia la notte, ma è una bellezza “strana”, sensuale ma dissonante, ci si lascia trasportare dolcemente ma è giusto un attimo poi subentra Jinx con le sue melodie tzigane senza tempo, come lo è la voce di Tong alienata e straziante che ci accompagna in questo perdersi dentro una notte spettrale ed affascinante, le successive °°° e Music # 1 sono più sperimentali e si dispiegano tra suoni ambient, sinth e linee ripetute di basso; un piccolo capolavoro è Victims Of The Dance, una sensuale murder ballad dove le voci si alternano tra chorus e refrain in un crescendo dolorosissimo e di totale annullamento; segue Incubus (blue Suit) un krautrock distopico e monocromatico di forte impatto ed a seguire la title-track Desire, straniante eppure fortemente seducente, arricchita dalle note di un violino e di un sax che c/vi faranno sprofondare in un sogno al contrario; un’altra “ballad” è Again, non ha una metrica ben definita ma è un tutto in divenire, uno scomporsi e ricomporsi come pezzi casuali di un puzzle, eppure sa incantare e ne restiamo affascinati. Penultimo brano in scaletta è In The Name Of Talent (Italian Western Two) con un’intro mozzafiato di sax che poi lascerà il posto ad un tappeto di synth e drum-machine che a tratti potrebbe ricordare i New Order di Movement (del quale ne parliamo qui); a chiudere l’album ci pensa Holiday For Plywood, forse un brano minore comunque una combinazione di melodie, suoni e musichette da cabaret che hanno il solo scopo di riportarci lentamente alla realtà. Se ne stanno andando tutti, dall’angelo acrobata, al mangiatore di fuoco, all’uomo dai mille volti, tra un pò non ne rimarrà che un vago ricordo, un “traumarbeit”; non fate caso alla data di pubblicazione, è un limite temporale che può solo trarvi in inganno, se c’è una cosa che non ha una “temporalità” è proprio il sogno ed il nostro invito è quello di lasciarvi cadere in questa illusione senza timore alcuno, per tornare ad una presunta realtà (che sia meglio?) c’è sempre tempo e da Roots! come sempre, è tutto, buon ascolto (qui o qui).

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