

The Smiths – The Smiths
(1984, Rought Trade Records / Sire Records)
by Simone Rossetti
Correva l’anno 1984 quando gli Smiths pubblicarono il loro primo omonimo album e fu davvero un bell’anno, di quelli che resistono al trascorrere del tempo, ai cambiamenti climatici, alla follia quotidiana ed alle sue/nostre miserie. The Smiths è (perché lo è ancora oggi) l’equivalente di una ragazza che vi prende per mano e vi fa uscire di casa a scoprire il mondo, ce n’è ed avanza per una vita intera. Dio li fa e poi li accoppia (anche scoppia ma questo qualche anno più tardi) a proposito di Morrisey (voce), Johnny Marr (chitarra), Andy Rourke (basso) e Mike Joyce (batteria); sarebbero esistiti gli Smiths con Morrisey senza Marr? O con Marr senza il basso di Rourke? Crediamo di no, c’è qualcosa che va oltre la semplice combinazione di elementi, non è la somma che fa il totale. Si, erano anni in cui spopolava la “new-wave”, c’era il post-punk, il primo synth-pop, gli echi lontani del punk, la no-wave, la NWOBHM, ma non c’erano ancora gli Smiths, non c’era ancora questo “suono”; potrà sembrare una cosa banale ma svegliarsi da un giorno all’altro e scoprire un qualcosa di totalmente “straniante” eppure confidenziale non è cosa da poco. The Smiths non è un album “facile”, lo può sembrare ad un primo banale ascolto ma non lo è, non lo è nei testi, nelle composizioni, nel suono; è solare, è malinconico, è ipnotico, è punk e pop ma allo stesso tempo senza essere nulla di tutti questi. La traccia che apre il lato A è un piccolo capolavoro proveniente da chissà quale galassia remota a noi sconosciuta, Reel Around The Fountain, a seguire un altro piccolo capolavoro, You’ve Got Everything Now, più sostenuta ritmicamente sostenuta ma anche più amara e venata di quella ineluttabilità di un vivere che si fa assuefazione e tristezza; Miserable Lie parla di rapporti di coppia e della loro fragilità, parte molto dolcemente ma si indurisce nel suo scorrere fino ad avvicinarsi ad un quasi-punk: c’è la bellissima Pretty Girls Make Graves, non è il solito brano strofa-ritornello-strofa ma si distende malinconica e leggera sulla voce di Morrisey e gli arpeggi di Marr; altro brano tipicamente Smithsiano è This Charming Man con un intro irresistibile ed un andamento trascinante e sensuale, c’è la più dura What Difference Does It Make? un pezzo dolce amaro sulla fine di una relazione, sulle sue difficoltà, brano intenso non semplice a seguire I Don’t Owe You Anything, di quella tenerezza che vi riscalderà l’anima seppur nella sua infinita tristezza “Life is never kind life is never kind” ed infine a chiudere Suffer Little Children, una storia di cronaca nera che sconvolse Manchester nei primi anni ’60, melodie malinconiche e sognanti ma “dentro” un’infinita amarezza. The Smiths, album di rara bellezza, di raro smarrimento; solo un inizio al quale seguiranno altri album ed altri successi, odi reciproci, una inevitabile fine, strade diverse; c’è sempre quella ragazza con voi? (se si tenetevela stretta). Da Roots! è tutto e come sempre buon ascolto (qui o qui).
The Fuzztones – Lysergic Emanations
(1985, ABC Records)
by Simone Rossetti
Un 10 alla gioia, al piacere carnale e spirituale di questa musica, un 10 alla vita ed alle cose buone che ci accadono (quando capitano) ed i Fuzztones sono una di queste cose buone. Si formarono agli inizi degli anni ’80 nel Lower East Side di New York, Rudi Potrudi (voce chitarra) e Deb O’Nair (tastiere) ne furono i membri fondatori, dopo un primo singolo Bad News Travels Fast del 1984 arrivarono alla pubblicazione del loro debut-album (1985) questo Lysergic Emanations; enormemente sottovalutati dalla solita critica di settore, considerati scarsamente originali se non addirittura accusati di plagio, cosa che a noi non ce ne può fregare di meno perchè sappiamo godere delle cose semplici, oneste, fatte con passione e se poi le sonorità sono questo garage punk intriso di psichedelia e perversamente malato, grezzo e sporco, che sia pure, non chiediamo di meglio. Fuzz, un particolare effetto di distorsione generalmente usato su chitarra…in molti lo usano, in molti lo usano bene e molti altri lo usano male ma fatelo lavorare in coppia con due chitarre Vox Phantom e se poi si chiamano The Fuzztones un motivo ci sarà; motivo per il quale lo porterete sulla vostra isola deserta al posto di un album dei Pink Floyd, dei Genesis, dei Metallica o di un qualsiasi altro multi blasonato album, perchè anche su un’isola deserta ci sarà bisogno di vita, di un suonaccio sporco e malsano ma quanto mai terreno; già dall’artwork con chiari riferimenti ai film horror anni ’60 ma in versione molto più trash si capisce che qualcosa non va, anzi, che va; rispetto alle immagini patinate della new wave di quel periodo i Fuzztones ci gettavano direttamente in faccia questo vomito verde e paludoso proveniente da chissà quale preistoria, per non parlare del suono. Ovviamente “rifiutati” da un contesto storico musicale nel quale non ci incastravano nulla ma ben accolti da chi si era rotto di tutti questi lustrini (e non erano pochi). 1-2-5, una cover dei The Haunted risalente al 1962 ma totalmente reinterpretata secondo uno stile selvaggiamente punk e zuppo di psycho-garage, Gotta Get Some ed altra cover, questa volta dei Bold, bello anche l’originale, ma qui il suono si farà più moderno, leggermente più sostenuto tra riff pesanti e colate di Hammond; altra cover, Journey To Tyme (dei Kenny And The Kasuals) dai sapori tipicamente beat con tanto di cori e chitarre psichedeliche ma la migliore sarà la successiva Ward 81, pezzo originale che sembra usire da un film horror di serie B ma di grande impatto, refrain micidiale, un vero colpo di genio; se non fossero esistiti andavano inventati (parole sante), ed ecco la leggendaria Strychnine introdotta dalle note funeree dell’Hammond per poi partire a mille ricorandoci i buoni e vecchi Ramones; a chiudere il lato A Radar Eyes una cover dei Godz perversa ed allucinata. Lato B, Cinderella dei Sonics, pezzo tirato a lucido (si fa per dire) per l’occasione, una scarica adrenalinica alla quale sarà impossibile restare insensibili, Highway 69 originale fin nel midollo, chitarre e Hammond in primo piano, refrain appiccicoso come una bubblegum, Just Once ballata crepuscolare stile spaghetti-western, ancora tanta classe e inossidabile passione, toni più notturni nella successiva She’s Wicked mentre si tornerà sul classico beat-garage ‘60 con As Time’s Gone dalla pronta presa ed un buon refrain che da solo farà spiccare il volo al brano. Album consigliatissimo a prescindere, con una dovuta precauzione per l’acquisto, che si tratti di vinile o CD controllate sempre la scaletta dei brani in quanto l’album “originale” verrà ristampato più volte anche a cadenza ravvicinata con l’inserimento di nuove tracce ed una diversa numerazione; detto questo l’isola deserta può anche aspettare mentre questo Lysergic Emanations è più che mai fondamentale per sopravvivere in questo fottuto e contorto mondo. Da Roots! è tutto e come sempre buon ascolto (qui o qui).