Roots! n.307 novembre 2021 The Dream Syndicate

The Dream Syndicate - Ghost Stories

The Dream Syndicate – Ghost Stories

by Simone Rossetti

The Dream Syndicate, e qui potremmo anche chiudere. Un nome ed una storia che ne avrebbero di cose da raccontare, spesso e volentieri qui su Roots! un punto di riferimento quasi “biblico”, eppure non li troverete in alcun articolo (questo fino ad oggi), forse perchè non ci sentivamo mai pronti, forse perchè questa musica richiederebbe altro che una semplice e modesta recensione, forse perchè il tempo ineluttabilmente scorre e passa. Una lunga e bellissima storia quella dei Dream Syndicate iniziata (ed ancora non conclusasi) sul nascere degli anni 80; California, Davis (piccola città universitaria vicino a San Francisco), Steve Wynn alla chitarra e voce, Kendra Smith al basso, Karl Precoda alla chitarra e Dennis Duck alla batteria, un primo Ep The Dream Syndicate del 1982 ed a seguire il loro primo album The Days Of Wine And Roses, non solo un album ma quel punto di riferimento, musicale e non solo, per tutto il rock alternativo ed in particolare per l’allora nascente nuova scena chiamata paisley underground (sonorità psichedeliche anni 60 con un’attitudine più post-punk e no-wave); dopo alcuni cambi di formazione nel 1984 viene pubblicato quello che è un pò considerato all’unanimità il loro capolavoro Medicine Show a cui farà seguito nel 1986 Out Of The Grey album “minore” dove le atmosfere si sposteranno verso un rock radiofonico più leggero, gli anni ‘80 volgevano al termine, il paisley aveva perso la sua spinta creativa ed un nuovo decennio bussava alla porta. Siamo nel 1988, il tempo di pubblicare ancora un ultimo album, questo Ghost Stories (Enigma Records) ed i Dream Syndicate non esisteranno più (almeno fino al 2017, anno nel quale Steve Wynn riformerà il gruppo ed a cui seguiranno nuove uscite sempre marcate dalla sacra fiamma del paisley). Questa la loro storia in breve, ovviamente intorno a quel fantastico fermento creativo giravano molte altre band che è giusto ricordare, i Green On Red, i Rain Parade, gli Opal, i The Long Ryders, i Mazzy Star, le Bangles (band tutta al femminile che raggiunse anche un discreto successo commerciale) ma qui ci fermiamo e torniamo a parlarvi proprio di quell’album che precedette il loro scioglimento. Insieme a Wynn, Paul B. Cutler alla chitarra, Mark Walton al basso e Dennis Duck alla batteria, oltre a Chris Cacavas (già nei Green On Red) alle tastiere, Robert Lloyd al pianoforte e Johnette Napolitano ai cori; album notevole ma che si allontanerà inevitabilmente dalle sperimentazioni dei primi anni in favore di un suono più “rock” e di una maturità artistica che porterà Wynn ad intraprendere una carriera solista/artistica di tutto rispetto; e c’è poco da dire, prendete ad esempio la bellissima My Old  Haunts una ballata elettrica che profuma di quei luoghi persi in chissà quale buco di questo mondo e dove le vite hanno un loro scorrere che trascende da tutto il resto, oppure lasciatevi incantare dalla malinconica Whatever You Please, semplice, forse banale rispetto alle loro cose del passato ma quanta immensa classe, e dove vogliamo mettere i 3 minuti scarsi di Someplace Better Than This per solo piano e voce? Una lenta ed amara ballata alla Tom Waits senza tempo “cause tonight, tonight, to someplace better than this, look at the way the others have gone, dying and crawling alone, you swore you’d never end up like them, finding that you might be wrong”. Ci sono anche brani dalle sonorità più dure e cariche di elettricità come nella bella Loving The Sinner Hating The Sin o in See That My Grave Is Kept Clean o nella più leggera I Have Faith, brani dove risaltano le belle armonizzazioni delle chitarre ed ovviamente la voce di Wynn, ma qui chiudiamo lasciandovi alle note di When The Curtain Falls, brano perfetto con un amfetaminico intermezzo strumentale d’altri tempi. Da qui in poi ciascuno prenderà la propria strada, chi formando od unendosi al altri gruppi chi per conto proprio, dovessimo dire che Ghost Stories sia quell’album imprescindibile che non può assolutamente mancare no, non lo è (oggettivamente e non per gusti personali) ma è un album che ha tante storie da raccontare, che musicalmente è “bello” ed interessante, che affascina e riporta indietro ad un tempo dove lo spessore della musica (del rock) era ben altra cosa, detto questo fate voi. Da Roots! è tutto e come sempre buon ascolto (qui o qui o meglio ancora nel vostro più vicino negozio di dischi).   

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