Teufelskeller – Teufelskeller
(2022, WV Sorcerer Productions)
by Tommaso Salvini
La domanda posta a fronte della proposta di recensione è questa.
“Perché si dovrebbe ascoltare un disco come questo?”
Ho ascoltato, recepito, integrato, ma ancora non saprei rispondere. Fatto sta che, comunque, l’ho ascoltato, non mi sono mai annoiato e, si, sento un irrefrenabile bisogno di parlarvene, per condividere con voi le sensazioni e le suggestioni che questo disco ha generato in me. Quindi forse l’unica risposta è che, si, siamo animali sociali e, piaccia o meno, siamo costretti a comunicare fra noi per confermare al nostro subconscio che, si, effettivamente esistiamo.
“Ognuno si esprime come sa e come può: seguendo alla lettera ferree regole grammaticali, con una gestualità folkloristica che entusiasma i turisti, con grugniti, rutti e, udite udite, addirittura con la musica.”
I Teufelskeller, da Mosca, per lo meno come forma collettiva di comunicazione, hanno scelto proprio la musica: un Free Jazz che, in quanto Free Jazz, si frantuma e si rotola tra inciampi, tempi dispari, creando paesaggi per il solo gusto di distruggerli con bombe atomiche di sax e di una batteria che non conosce pace. Ma cosa vogliono comunicare i Teufelskeller? Dal momento che un discorso viene proferito, sia esso un rutto, un canto della Divina Commedia o un disco come questo, non appartiene più a chi l’ha prodotto: la parte ricevente se ne fa carico, lo interpreta, lo studia, ne da un giudizio. Io che mi ritrovo questa scheggia impazzita fra le mani, mi immagino una società in frantumi, che stenta a rialzarsi dopo ogni caduta, e più che si avanza negli anni, anziché rinnovarsi, essa invecchia inesorabilmente riuscendo a pensare solo a soluzioni vecchie come il cucco a fronte di problemi che necessiterebbero nuovi studi, nuove pratiche e soluzioni. Ma si prosegue sui binari della tradizione, senza coscienza ma con la sola supponenza. Tuttavia non si pensi neanche per un minuto, ammesso che si riesca a prodursi in un pensiero mentre si diviene vittima sotto questa pioggia di meteoriti sonori, ad una riproposizione di vecchi dischi Fusion-Free Jazz: nel loro esprimersi forsennato e cerebrale, i Teufelskeller non dimenticano di aggiungere elementi di elettronica e drone rendendo l’insieme ancor più stimolante nonostante la sua forma irrequieta. Al contrario delle suggestioni e delle immagini che il loro ascolto mi suggerisce, i moscoviti usano la tradizione con coscienza e senza la minima traccia di supponenza: i Teufelskeller propongono nuove soluzioni attingendo dal passato, capacità notevole che rilevo spesso in musica ma che non trovo quasi mai in altri settori (purtroppo). La costante è la velocità d’esecuzione, una velocità folle resa ancora più folle se si pensa al minutaggio generoso del disco: due suite da 7minuti, una da 12 e un’altra da 15; 48 minuti totali di corsa verso il dirupo, si improvvisa e ci si butta a corpo morto con l’unica consapevolezza e regola condivisa dal trio che correre, senza cintura di sicurezza e coi freni rotti, è l’unico parametro al quale attenersi. Questo è un disco fatto di attimi e di intuizioni subitanee che, in una ragionata fretta, vengon buttate di impulso in un meccanismo a centrifuga che tutto integra e che niente lascia al caso ma che, inesorabile e cinico, macella forme, strutture e suoni evitando l’ovvietà della forma ultima e definitiva. Non ha ossatura eppur sta in piedi, non ha struttura eppur si muove, non ha pietà eppur mi incanta: un fantasma sotto la mentita spoglia di un disco che strega e violenta. Da Roots! è tutto e come sempre buon ascolto (qui).
English Version…(!?!)
TEUFELSKELLER – TEUFELSKELLER
(2022, WV Sorcerer Productions)
by Tommaso Salvini
The question posed in the review proposal is this.
“Why should you listen to a record like this?“
I have listened, received, integrated, but I still don’t know how to answer. The fact is that, however, I have listened to it, I have never been bored and, yes, I feel an irrepressible need to talk about it, to share with you the sensations and suggestions that this record has generated in me. So perhaps the only answer is that, yes, we are social animals and, like it or not, we are forced to communicate with each other to confirm to our subconscious that, yes, we actually exist.
“Everyone expresses himself as he knows and how he can: following strict grammatical rules to the letter, with a folkloristic gesture that excites tourists, with grunts, burps and, listen, listen, even with music.“
The Teufelskeller, from Moscow, at least as a collective form of communication, have chosen music: a Free Jazz which, as Free Jazz, shatters and rolls among stumbles, odd times, creating landscapes for the sake of destroying them. with atomic bombs of sax and a battery that knows no peace. But what do the Teufelskellers want to communicate? Since a speech is uttered, be it a belch, a song from the Divine Comedy or a record like this, it no longer belongs to the person who produced it: the receiving party takes care of it, interprets it, studies it, gives it a judgment. I who find myself this crazy splinter in my hands, imagine a shattered society, which struggles to get up after each fall, and the more that one advances over the years, rather than renewing itself, it ages inexorably managing to think only of old solutions such as the cuckoo in the face of problems that would require new studies, new practices and solutions. But we continue on the tracks of tradition, without conscience but with only arrogance. However, do not even think for a minute, assuming that one manages to produce a thought while becoming a victim under this shower of sound meteorites, of a revival of old Fusion-Free Jazz records: in their frenzied and cerebral expression, the Teufelskellers do not they forget to add elements of electronics and drone making the whole even more stimulating despite its restless shape. Contrary to the suggestions and images that their listening suggests to me, Muscovites use tradition with conscience and without the slightest trace of arrogance: the Teufelskeller propose new solutions drawing from the past, a remarkable ability that I often detect in music but that I hardly find never in other sectors (unfortunately). The constant is the speed of execution, an insane speed made even more insane if you think about the generous playing time of the disc: two 7-minute suites, one for 12 and the other for 15; A total of 48 minutes of running towards the cliff, you improvise and throw yourself into the limelight with the only awareness and rule shared by the trio that running, without a seat belt and with broken brakes, is the only parameter to be followed. This is a record made up of moments and sudden intuitions that, in a reasoned haste, are thrown on impulse into a centrifuge mechanism that integrates everything and leaves nothing to chance but that, inexorably and cynical, slaughters shapes, structures and sounds, avoiding the obviousness of the ultimate and definitive form. It has no bones and yet it stands, it has no structure and yet it moves, it has no pity and yet it enchants me: a ghost under the naked lie of a disc that bewitches and violates. From Roots! it’s all and as always good listening (here).