
Tank Of Danzig – Not Trendy
by Simone Rossetti
Una cosa che molti di voi giustamente ignoreranno e che noi, anche a rischio di passare per quelli che fanno della banale pubblicità (cosa della quale non ce ne può fregare di meno) vi racconteremo lo stesso, perchè ci va, perchè qui non ci interessa un semplice recensire ma preferiamo dire che “parliamo di musica” e perchè crediamo ne valga la pena. Esiste una piccolissima etichetta indipendente, la Music à la Coque interamente curata e gestita in modo amatoriale da Pino M., che se non esistesse (o re-sistesse) andrebbe inventata; non si pubblicizza, non “alza la voce” per farsi sentire od anche solo per dire “cazzo, ci siamo anche noi” e se poi guardate alle sue, molto parsimoniose a dire la verità, pubblicazioni sembra trascendere lo stesso scorrere del tempo, in poche parole sembra non appartenere a questo mondo eppure quanta passione, quanta qualità, quanta storia, quanta memoria. Se non esistesse andrebbe inventata ed è vero (cosa non semplice ma possibile); discorso diverso per un periodo od un contesto storico (stiamo parlando dei primi anni 80 del secolo scorso ma questo od un altro non farebbe alcuna differenza), periodo che non lo si può “inventare”, c’è stato e basta, poi c’è anche chi cerca di “riproporlo/rivenderlo” sfruttando le varie mode del momento ma è un’altra cosa, un prodotto da supermercato. Ben diverso doveva essere trovarsi a Koblenz, Germania (Ovest), in quel 1980, rispettivamente città di provenienza ed anno di nascita dei Tank Of Danzig, di là, da qualche parte, la Germania dell’Est, di qua il “libero e prospero” occidente capitalista di là un regime comunista tutt’altro che libero e prospero (virgolette che non sono messe a caso ma nemmeno per fare polemica); poi come è andata a finire lo sappiamo tutti, i “cattivi” hanno perso ed i “buoni” hanno vinto, il risultato sono questi tempi votati ad un alienante quanto appagante nulla. Schengel alla chitarra e voce, Esch al basso, Fischer alla batteria e Kohl al sax; questo Not Trendy sarà il loro album di debutto “pubblicato” nel 1982 ed all’epoca disponibile solo su audiocassetta (andate subito esaurite ma ora disponibile in formato digitale e CD per la Music à la Coque), una storia che a scanso di equivoci non è ancora finita ma che fra pause più o meno lunghe e progetti paralleli prosegue ancora oggi (è dell’appena trascorso 2020 il nuovo 7” American Hostages). Qualcuno una volta ha detto che “il tango è una musica triste che si balla” ed è vero così come è vero che quello dei Tank Of Danzig è un fottutissimo funky-hardcore-jazz-no wave che si farà pane per i vostri denti, per la vostra anima e per il vostro culo che vi chiederà solo di poter “ballare” ad un ritmo che è si funky ma anche molto altro e che ieri come oggi ha pochi eguali; a dire il vero qualcuno ce l’ha, Arto Lindsay già con i DNA, i Lounge Lizards ed i Minutemen ma è tutto l’insieme che suona diverso, più “cupo”, destrutturato ma allo stesso tempo “ballabile”, quel gettare lo sguardo verso un “oltre” che sembrava già non promettere niente di buono. 17 brani in tutto compreso alcune extra tracks ma non aspettatevi la solita lista della spesa, accontentavi di qualche input, speriamo giusto, poi fate voi, se restare nelle vostre “inossidabili” certezze o lasciarvi andare ad un nuovo scoprire e sorprendersi; dobbiamo spendere due parole per il sax di Kohl, sempre teso, tiratissimo, al limite dell’implosione, una “voce” che ci ricorda quella di un altro grande sassofonista, Albert Ayler, sempre “sul e dentro” al pezzo, Kohl non ci suona sopra ma lo dilania, lo squarta come se fosse materia viva e sarà lui a trascinare le vostre budella fin dentro questo ballo/rituale; poi c’è No New York, un gran bel pulsare di basso e ritmi funky ma è solo un attimo perchè a squarciare il tutto ci penseranno le note strozzate del sax ed il canto alienato di Schengel, così come nella jazzata (I’ve Seen) The Truth o nel ritmo sincopato di No More Chance ma anche nell’iniziale e sorprendente What’s The Sense Of Life con un refrain da cantare a squarciagola a finestre aperte e poi ancora ed ancora e non se ne avrebbe mai abbastanza. Noi vi lasciamo qui, anzi, sulle note convulse di una drammatica High Of Temtation; forse non un album per tutti o meglio, per quel nulla imperante al quale ci adattiamo perchè “inutile o forse “impossibile complicarsi la vita”, meglio così, vuol dire che c’è ancora qualcosa per cui valga la pena spendere due parole, in questo caso non solo di un passato ormai oblio ma anche di una “silenziosa” realtà di questo presente. Da Roots! è tutto e come sempre buon ascolto (qui).