Roots! n.257 settembre 2021 Suicide

Suicide-Suicide

Suicide – Suicide

by Simone Rossetti

Volete farvi del male (o del bene)? Prendete un Elvis Presley completamente strafatto (di cosa decidete voi) e lasciatelo da solo per un’intera notte in uno studio di registrazione con solo una tastiera e qualche altra diavoleria elettronica, la mattina seguente ritroverete Elvis in totale apnea ed un nastro registrato che probabilmente si avvicinerà molto a questo Suicide. 1977, New York, Alan Vega alla voce e Martin Rev ai synth e drum machine, Suicide (Red Star Records) fu il loro primo ed unico album (reunion a parte ma ci piace vederla così); un rock’n’roll urbano, metallico, amfetaminico, scarnificato di un “tutto” musicale eppure rock’n’roll fin nelle budella, un “idea”, un piccolo capolavoro misconosciuto (a suo tempo anche vilipeso ed osteggiato) ma che farà scuola. Solo voce e suoni elettronici, un pulsare ritmico, il più delle volte appena percettibile, che farà scuola. Si parte con Ghost Rider, “Hey, baby, baby, baby, he’s a-screamin’ away, America, America is killin’ it’s youth, America, America is killin’ it’s youth, Ghost rider, Ghost rider”, era ieri ed è oggi, un pezzo “maledetto” e maledettamente rock’n’roll dilaniato da schegge noise ed industrial, sembra di vederlo, Elvis, reggersi a stento davanti al microfono mentre dice “baby, baby, baby”; non è da meno Rocket USA con una ritmica leggermente più accentuata ma è pur sempre “solo” un battito, alienante, disturbante ma con la voce di Vega che sembra provenire da un altro mondo, puro e semplice rock’n’roll “Rocket, Rocket USA, Shoot on down the highway, TV star ridin’ around, Ridin’ around in a killer’s car, It’s nineteen hundred seventy-seven, Whole country’s doin’ a fix, It’s doomsday, doomsday, Ridin’ around, ridin’ high, Ridin’ around with my babe, Ridin’ around in my Chevy 69, Speeding through on the skyway Speeding through on the skyway”, un gran bel sentire. Cheree sembra uscire direttamente dai favolosi anni ’60 color pastello ma qualcosa non torna, c’è come una distorsione temporale, qualcosa di inquietante (ed affascinante) “Oh baby, Oh baby, I love you, I love you, baby, Oh, I love you, Cheree, Cheree, Cheree, Cheree, My black leather lady, I love you, Oh, I love you, I’m right here baby, I’m right here baby”; non sono da meno Johnny e la seducente Girl, attenzione, non una semplice e posticcia rilettura del vecchio e buon rock’n’roll ormai passato ma qualcosa di “straniante”, un pulsare perverso e “malato” che si agita nelle più profonde e nere viscere di una New York al collasso ma estremamente vitale. Se la cosa vi risulta difficile da comprendere ascoltatevi, e leggetevi, la lunga Frankie Teardrop, oggi non è molto diverso, solo per molto meno, cosa sulla quale riflettere se ne avete ancora voglia e possibilità. “Frankie Teardrop, Twenty year old Frankie, He’s married, he’s got a kid, And he’s workin’ in a factory, He’s workin’ from seven to five, He’s just tryin’ to survive, Well, let’s hear it for Frankie, Frankie, Frankie, But Frankie can’t make it….Come on, get up, We’re all Frankies, We’re all lyin’ in hell, Come on, get up, come on”. Album che si chiude con la spettrale e rassegnata Che (dedicata ad Ernesto Guevara), un tempo che oggi appartiene all’oblio ma che forse è meglio così, che non veda questo presente. Album immenso ma come si suol dire “it’s only rock’n’roll“; da Roots! è tutto e come sempre buon ascolto (qui o qui).

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