
Simon & Garfunkel – Sounds Of Silence
by Simone Rossetti
A scanso di equivoci sempre guardati con un certo “sospetto”, un pò per le loro continue separazioni e relative reunion, un pò per quell’aurea da “primi della classe” (come in effetti lo erano, meritatamente) o forse per quell’aver “definito” a livello mediatico (non solo musicale) una intera generazione ma lasciate perdere queste considerazioni più o meno personali e sicuramente discutibili, la verità è che Simon (Paul) e Garfunkel (Arthur) di grandi pezzi ne hanno scritti e non pochi e si, probabilmente anche dei capolavori, eppure a ben vedere qualcosa non ci torna. Abbiamo scelto un album a caso della loro tutto sommato breve e problematica collaborazione artistica iniziata nel 1964 con l’Lp Wednesday Morning, 3 A.M. e terminata con Bridge Over Troubled Water risalente al 1970 passando per gli intermedi Parsley, Sage, Rosemary And Thyme del 1966, Bookends del 1968 e questo Sounds Of Silence (Columbia Records, gennaio 1966); questo od un altro non avrebbe fatto alcuna differnza, come amiamo dire da queste parti non sono (e non lo saranno mai) i due o tre singoli di successo a fare un buon album ma la sua interezza, poi lo sappiamo, è il “capolavoro” che fa vendere ed alla fin fine sono i numeri che contano (e quelli che hanno ragione) ma a noi interessa il giusto, anzi, dei numeri non ce ne può fregare di meno. “On March 22, 2013, it was announced that the album will be preserved by the Library of Congress in the National Recording Registry, calling it “culturally, historically, or aesthetically significant.“; no, non un album degli Hüsker Dü ma così va il mondo ad ogni modo noi partiamo da qui, prima però qualche breve cenno storico; Paul Simon ed Arthur Garfunkel, entrambi di Kew Gardens Hills, Queens, New York, un duo folk rock (ma non solo) come tanti in quegli anni con una sola piccola differenza, la loro alchimia (estremamente fragile) era davvero un qualcosa di unico. 11 brani, tutti a firma di Paul Simon ad eccezione di Anji scritta originariamente da Davey Graham, album che seguì quel Wednesday Morning, 3 A.M. (Columbia Records) del 1964, un insuccesso totale tanto che i due se ne andarono ciascuno per la propria strada (non sarebbe stata la prima e nemmeno l’ultima volta) ma la storia doveva andare diversamente e sarebbe passata proprio da una traccia di questo flop-album, quella The Sound Of Silence qui in una prima (e veramente bella) versione acustica che ovviamente non riscosse alcun successo, versione successivamente riregistrata e pubblicata come singolo nel settembre del 1965 con l’aggiunta di linee di basso, chitarra elettrica e batteria e che (ma che ve lo diciamo a fare) sarà un successo mondiale, di più, “quel” brano eletto a simbolo di una intera generazione; e fu proprio questo inaspettato successo a far riunire Simon e Garfunkel una prima volta per lavorare alle nuove tracce che poi entreranno a far parte di questo Sounds Of Silence (quando si dice il destino). Una considerazione che probabilmente non piacerà ai più ma che ci sentiamo di fare, brani che si reggeranno ovviamente sulle splendide partiture vocali nonché sulla buona tecnica chitarristica di Simon ma che a livello di accompagnamento strumentale lasciano un pò a desiderare e non per una questione di qualità (Fred Carter Jr., Glen Campbell e Joe South alle chitarre, Larry Knechtel alle tastiere, Joe Osborn al basso e Hal Blaine alla batteria) ma per suonare (o far volutamente suonare) il tutto un pò blando, senza mordente, un semplice accompagnare e niente più. Ad aprire l’album spetterà proprio a quella The Sound Of Silence versione “singolo” e qui c’è ben poco da aggiungere, un brano che resterà nella storia oltre me e voi, i più diranno monumentale, totemico, senza tempo e probabilmente è vero, nel dubbio riguardatevi anche Il Laureato, film diretto da Mike Nichols del 1967; belle atmosfere anche nella successiva ballata folk Leaves That Are Green, “And the leaves that are green turn to brown, And they wither with the wind, And they crumble in your hand, Hello, Hello, Hello, Hello, Good-bye, Good-bye, Good-bye, Good-bye, That’s all there is”, un bel sentire anche se l’accompagnamento non “suona” un granché e si prosegue con le sonorità più psichedeliche della non imprescindibile Blessed, meglio, molto meglio, la semplice ed acustica Kathy’s Song, una dimensione più intima e malinconica che ci sembra la loro più naturale, Somewhere They Can’t Find Me ha un buon groove dai tratti “black” ma oltre non va (diciamo che per restare nel genere si può ascoltare molto di meglio) ed infine a chiudere questo lato A la strumentale Anji cover di un brano a firma Davey Graham, ci può stare come no. Lato B che si aprirà sulle note di un amara Richard Cory, un bel ed inaspettato testo che vi consigliamo di andarvi a leggere; più morbide le atmosfere di A Most Peculiar Man, carina ma niente di più mentre si eleva al di sopra della media la breve e delicata April Come She Will, pochi accordi e tanta classe mentre We’ve Got A Groovy Thing Goin suona come un beat-rock fuori tempo massimo, ultima traccia una bella (a dire la verità più nel testo che musicalmente) I Am Rock, “I have my books, And my poetry to protect me, I am shielded in my armor, Hiding in my room, Safe within my womb, I touch no one and no one touches me, I am a rock, I am an island, And a rock feels no pain, And an island never cries” ed è proprio vero. Questo è quanto, siamo arrivati a parlare/parlarvi di questo lavoro (dei Simon & Garfunkel) quasi per necessità, per un bisogno di capire (seppur con tutti i nostri limiti) ed ora va meglio, forse ci siamo tolti un “peso”, sicuramente incompleto, ma speriamo nel modo il più oggettivo possibile ed onesto (senza nessuno ferire), album al quale ci sarà ovviamente un seguito, anzi, molti seguiti e dei quali forse riparleremo forse no, chi può dirlo, “In restless dreams I walked alone, Narrow streets of cobblestone, ‘Neath the halo of a streetlamp, I turned my collar to the cold and damp, When my eyes were stabbed by the flash of a neon light, That split the night, And touched the sound of silence”. Da Roots! è tutto e come sempre buon ascolto (qui o qui).