Roots! n.17 ottobre 2020 The Beatles Vs Sex Pistols

The Beatles (Abbey Road) -Vs- Sex Pistols (Never Mind The Bollocks)

Si avete letto bene, forse dovevamo scrivere Vs Rolling Stones, un azzardo? Forse si ma di quelli buoni. Due gruppi agli antipodi, temporalmente distanti ed inconciliabili (per storia e cultura), eppure, guardando oltre le facili apparenze, con molti più punti in comune di quello che possa sembrare; certo, “alcune” differenze ci sono ma qui le storie si incontrano, si separano, si rincorrono, si perdono. Quel “vs” non sta ovviamente a definire quale sia  il “peggiore o migliore” (lasciatecelo dire, troppo stupido anche per noi), più semplicemente confrontare due album, separatamente e singolarmente, con molta serenità ed umiltà, niente di più e niente di meno. I punti in comune (che il più delle volte coincidono con i punti più distanti); un successo travolgente e praticamente immediato, la consapevolezza di stare vivendo e “creando” un momento unico ed irripetibile, le difficoltà nel gestirlo, un approccio ed un’attitudine che sembrano distanti anni luce ma che in un qualche modo coincidono (perchè questo è il rock), un lascito musicale (ma anche sociale) enorme ed infine (ma non di minore importanza), due “prodotti” costruiti a tavolino od il risultato di una propria spontanea originalità? Un “peso” artistico/sociale enorme da sostenere (in questo caso più o meno diluito nel tempo ma la sostanza non cambia), un lampo di luce e poi il buio. Buona lettura.        

The Beatles-Abbey Road
Sex Pistols-Never Mind

The Beatles – Abbey Road

by Simone Rossetti

Quando tutto sembrava finalmente andare per il meglio (dopo anni di dissapori e rivalità interne) arrivò come un fulmine a ciel sereno la notizia del loro scioglimento, da quel momento i Beatles non esisteranno più, questo Abbey Road sarà il loro ultimo album; siamo nel settembre del 1969. Ciascuno per la propria strada segnata da diversi destini ma dei quali ovviamente non parleremo qui, quello che ci interessa è parlare di questo lavoro e del perchè della sua importanza spesso sottostimata o non considerata; personalmente ad Abbey Road preferisco di gran lunga Let It Be, non solo per una questione compositivo-musicale ma soprattutto per la sua estrema fragilità, un album sofferto, imperfetto, vero come raramente lo può essere un semplice album; Abbey Road è tutto l’opposto, è perfetto fin nei minimi dettagli, è “tronfio” (compositivamente parlando), ha dei bellissimi brani ma anche delle vere e proprie “ciofeche” ma realizzate talmente bene che molti le scambiano per dei capolavori; no, la grandezza di Abbey Road sta in un altro aspetto (dal quale era lontanissimo Let It Be), l’aver traghettato il rock in ambito pop (a livello di suono e compositivo), una perfezione talmente totale che è praticamente diventata uno standard comune ancora oggi, oltre non sarebbe più stato possibile andare. Si parte alla grande con Come Together, un quasi-blues elettrico scarno e duro con un bellissimo refrain, una interessante sezione ritmica ed un suono volutamente sporco che ne aumenta l’aggressività, e va detto, un brano così fino a quel 1969 non lo aveva ancora mai scritto nessuno, lo stesso si può dire per la successiva Something a firma di Harrison con l’accompagnamento all’Hammond del grande Billy Preston, una ballata elettrica dolce e malinconica (ma non scontata) con un grande senso armonico/melodico “moderno”, ma ecco la prima “ciofeca”, Maxwell’s Silver Hammer, un brano minore stile filastrocca che potrà anche risultare simpatico ma niente di più, si passa quindi alla successiva Oh! Darling, semplice quanto efficace, una fra le tracce che preferiamo, venata da atmosfere anni ’50/’60 ma con la potenza di un soul che colpisce dritto all’anima; Octopus’s Garden di Ringo Starr è più un brano per bambini, leggero e scanzonato, simpatico ma non andrà oltre; sarà il brano successivo a stabilire le coordinate della grandezza di questo lavoro, I Want You (She’s So Heavy), un hard-rock con sfumature blues, chitarre che si increspano come mai era avvenuto prima, una linea di basso quasi funky e la batteria di Ringo che finalmente si libererà di quell’aurea di “solo accompagnamento”, da sottolineare il crescendo finale lasciato andare a  ruota libera in un “continuum” senza fine, pezzo immenso. Lato B che si apre con un altro brano di Harrison, Here Comes The Sun, un pezzo dolce e solare che entrerà di diritto nella storia del rock mentre la successiva Because è più cupa e complessa, interamente strutturata su una linea melodica di clavicembalo e voci, una ricerca compositiva (per l’epoca e per oggi) non indifferente; da qui in poi inizierà la suite vera e propria (o Medley), un piccolo capolavoro creativo e compositivo senza precedenti, poi il congedo finale “And in the end the love you take is equal to the love you make”; qui si conclude Abbey Road (c’è un’ultima traccia finale di pochi secondi, Her Majesty ma fuori dal contesto dell’album) e si concluderà anche la storia dei Beatles (Let It Be uscirà “postumo” pur essendo stato registrato antecedentemente ad Abbey Road). Un album che  ha avuto il merito di portare il rock “oltre”, di intuire prima di tutti che i tempi stavano cambiando, pop nella sua espressione più alta. Da Roots! è tutto e come sempre buon ascolto (qui o qui).

 

 

Sex Pistols-Never Mind The Bollocks, Here’s The Sex Pistols

by Simone Rossetti

Un gruppo ed un album sul quale è stato detto e scritto di tutto e di più, verità, smentite, leggende e tutto quanto possa far spettacolo; a noi però interessa la musica e di quella ci occuperemo. I Sex Pistols cambiarono il mondo della musica (nel bene o nel male, fate voi) e “forse” più di quanto essi stessi potessero immaginare od auspicarsi; il punk fu una loro invenzione? Musicalmente parlando non lo sappiamo, Never Mind The Bollocks fu pubblicato nell’ottobre del 1977, il primo album dei Ramones (Ramones) risaliva all’aprile del 1976, una esplosiva miscela di punk-garage-rock ma anche “classicamente” americana (come attitudine, come approccio) e troppo distante “culturalmente” dal punk inglese/europeo, due fattori che faranno la differenza, una differenza enorme. Scindere il punk dai Sex Pistols sarebbe impossibile, un guardare oltre ma portandolo alle sue estreme conseguenze; l’avvento del punk, della sua “visione” (individuale e sociale) fu devastante per una intera generazione, noi non giudichiamo, sono scelte personali, sappiamo però che quello che resta, il suo lascito, è un vuoto enorme, peggio ancora, una moda, transitoria e futile come tutte le mode, che ha richiesto un enorme prezzo in cambio. Forse i Sex Pistols a livello di tecnica non saranno stati dei mostri (forse) ma se non altro hanno avuto il merito (o la fortuna) di trovarsi nel posto giusto al momento giusto, di saper intercettare attraverso un’urgenza espressivo-creativa lo spirito di quel tempo, l’humus, il pensiero di una intera generazione che viveva sulla propria pelle (ma ancora a livello inconscio) la realtà di un sistema che era la negazione dell’essere umano, il suo sfruttamento, un potere consolidato e intoccabile (niente di nuovo anche oggi), un sistema che comunque sopravviverà anche al punk, ai suoi morti ed a noi stessi. Un altra particolarità, il punk arrivò in un momento in cui la scena musicale era interamente dominata dalla discomusic e dal progressive rock ed arrivò così improvvisamente, prepotentemente e con una violenza tale da spazzare via tutto quel “vecchiume” che oramai da quasi un decennio stava dominando le classifiche e (lasciatecelo dire) fu davvero una ventata di aria fresca, una marea improvvisa, bellissima e devastante; durò poco, pochissimo rispetto ad un qualsiasi altro genere musicale, bruciò in fretta, intensamente ed alla sua fine non restò che cenere ma con un lascito musicale enorme. Never Mind The Bollocks è tutto questo e tutto in una sola ed unica volta; ci siamo accorti di non aver detto nulla in merito alle sue tracce e credo che a questo punto non ve ne sia più il bisogno, la curiosità ed il piacere di ascoltarlo o di ri-ascoltarlo sarà solo una vostra scelta, vogliamo però spendere giusto due parole su chi erano i Sex Pistols; John “Johnny Rotten” Lydon alla voce, Steve Jones alla chitarra, Paul Cook alla batteria e Glen Matlock e Sid Vicious al basso, diverse storie e diversi destini, la verità è chi ci ha creduto veramente ne è rimasto travolto, molti ed è per tutta questa serie di “circostanze” che sarebbe un errore ascoltare Never Mind The Bollocks come un qualsiasi altro album di musica, non renderebbe merito alla sua spontanea e drammatica bellezza ed anche a quella storia (storie), non facile, che si porta dietro. Da Roots! è tutto e come sempre buon ascolto (qui o qui).

     

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

error: Content is protected !!