Roots! n.239 agosto 2021 Robert Wyatt – Old Rottenhat

Robert Wyatt-Old Rottenhat

Robert Wyatt – Old Rottenhat

by Simone Rossetti

Non ci soffermeremo sulla storia dei Soft Machine (uno fra i migliori gruppi prog-rock-jazz anni ’70) né tantomeno sulle vicende personali del loro batterista (e che batterista) Robert Wyatt (per queste vi basterà farvi un giro nella solita “rete” per trovare miserie, disgrazie ed una ancora più bella quanto forse inaspettata rinascita) né ci soffermeremo sul suo secondo album solista, quel Rock Bottom datato 1974 e considerato più o meno all’unanimità il suo capolavoro artistico nonché una fra le opere musicali più rilevanti del 20° secolo (può anche darsi ma è quanto meno discutibile); la verità è che pochi conoscono questo suo Old Rottenhat (Rough Trade Records) del 1985 che, diciamolo subito, per quanto sia un “piccolissimo” lavoro non ha niente da invidiare a Rock Bottom, anzi, ma sono due album estremamente diversi motivo per il quale fare raffronti non sarebbe corretto. Album dalle atmosfere molto intime ed introspettive dove Wyatt suona tutti gli strumenti in totale solitudine se non per la presenza dell’amata moglie Alfreda Benge alla quale dedicherà la bellissima e struggente P.L.A. (Poor Little Alfreda); album non facile, dai testi volutamente politicizzati e giocato molto sull’uso delle tastiere lasciandosi accompagnare qua e là da scarne sezioni ritmiche, forse straniante ad un primo ascolto, in realtà si dimostrerà essere un bellissimo album avvolto da un manto di tristezza ed amarezza a volte malinconico altre dolce. Album di passaggio nel momento in cui i sogni dovranno lasciare il posto ad una più matura consapevolezza; sonorità ambient-psichedeliche primi Pink Floyd come in Vandalusia o nella bellissima Alliance dove la voce di Wyatt raggiungerà vette di intensità altissime e non sono da meno la jazzata The Age Of Self o la notturna e sognante Mass Medium; tutte composizioni che sono dei piccoli affreschi armonici, delle tele che Wyatt può finalmente colorare in totale libertà di toni e sfumature, il risultato sarà di una delicatezza così estrema e fragile da non sembrare nemmeno di trovarsi davanti ad un album “rock”. Per concludere vi lasciamo proprio al brano (probabilmente l’unico che non tratti esplicitamente temi sociali/politici) che Wyatt dedicherà alla moglie, P.L.A., “Poor little Alfie trying to draw, Trying to draw, Poor Little Alfie trying to sleep, Trying to sleep”, introdotta dalle malinconiche note di un carillon che lasceranno poi il posto ad una “ballata” senza tempo ma troppo intima e personale per non essere destinata ad un ineluttabile oblio, a noi e voi il piacere di riscoprirla. La musica, l’arte, quell’urgenza espressiva vitale ed unica sanno essere anche questo ed a ben vedere non serve poi molto; ora sapete cosa fare, da Roots! è tutto e come sempre buon ascolto (qui o qui).

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