Roots! n.457 giugno 2022 Qonicho Ah! – Qonicho Ah!

Qonicho Ah! - Qonicho Ah!

Qonicho Ah! – Qonicho Ah!

(2022, Kaczynski Editions – Pulsioni Oblique)

by Simone Rossetti

Cosa volete che vi raccontiamo (molto banalmente), che siamo davanti ad un bell’album? Un brutto album? Forse un album? Forse altro? Altro è la parola giusta; “altro” non è quello che andrete ad ascoltare (necessariamente) e che potrà essere di vostro gradimento come anche no, “altro” è quella cosa che non si può “recensire”, che non è subordinata ad un mercato, che non ha un tempo, ed “altro” sarà quello che proveremo a raccontarvi, un “altro” che non ha bisogno di tante inutili parole ma semplicemente di guardare questo video (vi invitiamo a farlo per un capire che andrà oltre la stessa muscica, oltre questo fottuto mondo). Morgane Carnet al sax ed effetti e Blanche LaFuente alla batteria (quando in trio anche Susana Santos Silva alla tromba), arrivano da Marsiglia, semplicemente splendide, splendide nella loro gioia, nella loro libertà espressiva fatta non solo di suoni, splendide perché ostinatamente, irrazionalmente e malgrado un tutto sanno ancora essere “vive” così come viva è la loro musica (in questo caso registrata live al Banlieus Blueus Festival nel 2020). Un jazz in forma molto “libera” (lasciate perdere il free, a ciascuno un suo tempo), le Qonicho Ah! suonano un jazz che jazz non è, è musica contemporanea strappata ad un proprio sentire e vivere, viscerale, di pancia, quando malinconico (ci viene in mente Sonny Rollins da solo con il suo sax sul pente dell’East River) quando “furioso” (il jazzcore degli Zu), tempesta che si contrappone ad un quotidiano abisso fatto di nulla, quel respiro che sembra non appartenerci più, tribale la ritmica, tribale il suo pulsare. Potremmo parlarvi delle varie singole tracce (tutte dal minutaggio piuttosto lungo), HIHI!, OH!, EH!, HU! e poi? Poi non cambierebbe assolutamente nulla, non è tanto quello che andrete ad ascoltare ma il tempo necessario che darete (regalerete) a voi stessi per entrare in questo flusso, non solo, non solo, anche per uscire mentalmente da una cazzo di “gabbia” che nel caso non ve ne siate accorti si fa (ce la stanno facendo diventare) sempre più piccola, miserrima, a misura di un nulla. Da Roots! è tutto e come sempre buon ascolto (qui).

French version (very, very dubious)

Qu’est-ce que tu veux qu’on te dise (très trivialement), qu’on est devant un bon album? Un mauvais album? Peut-être un album? Peut-être plus? Autre est le bon mot; «Autre» n’est pas ce que vous allez écouter (forcément) et cela peut vous plaire ou non, «autre» est cette chose qui ne peut pas être «revue», qui n’est pas subordonnée à un marché, qui a pas le temps, et “autre” sera ce que nous essaierons de vous dire, un “autre” qui n’a pas besoin de beaucoup de mots inutiles mais simplement de regarder cette vidéo (nous vous invitons à le faire pour comprendre que cela ira au-delà du même muscle, au-delà de ce putain de monde ). Morgane Carnet au sax et effets et Blanche LaFuente à la batterie (quand Susana Santos Silva à la trompette est aussi en trio), venues de Marseille, simplement splendides, splendides dans leur joie, dans leur liberté d’expression faite non seulement de sons, splendides car obstinément, irrationnellement et malgré tout ils savent encore être «vivants» comme leur musique est vivante (en l’occurrence enregistrée live au Festival Banlieus Blueus en 2020). Un jazz sous une forme très “free” (oublions le free, chacun son temps), le Qoncho Ah! ils jouent du jazz qui n’est pas du jazz, c’est une musique contemporaine arrachée à leur propre feeling et vivante, viscérale, viscérale, quand mélancolique (Sonny Rollins vient à l’esprit seul avec son sax sur la pente East River) quand “furieux” (le jazzcore de Zu), une tempête qui contraste avec un gouffre quotidien fait de rien, ce souffle qui semble ne plus nous appartenir, sa rythmique tribale, sa pulsation tribale. On pourrait vous parler des différents singles (tous avec une durée de lecture assez longue), HIHI!, OH!, EH!, HU! et alors? Alors absolument rien ne changerait, ce n’est pas tant ce que vous allez écouter mais le temps nécessaire que vous vous donnerez (vous vous donnerez) pour entrer dans ce flux, pas seulement, pas seulement, même pour en sortir mentalement une putain de “cage” qui au cas où vous ne l’auriez pas remarquée, elle devient (ils la font devenir) de plus en plus petite, misérable, jusqu’à la limite de rien. Roots! et comme toujours bonne écoute (ici).

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