Roots! n.366 gennaio 2022 Prim – When Monday Comes

Prim - When Monday Comes

Prim – When Monday Comes

by Simone Rossetti

Del perchè lo capirete in seguito ma per una volta lasciateci “iniziare” dalla fine, una possibile fine (ce ne saranno e ne leggerete anche di altre). When Monday Comes è un lavoro, ne siamo sicuri, che riscontrerà il favore di molti se non dei più, ha uno scorrere piacevole, è realizzato con cura, i brani sono carini e tutto sommato anche gradevolmente radiofonici, e per tutti gli altri? Tutti gli “altri” si staranno domandando, si è vero, ha uno scorrere piacevole, è realizzato con cura, i brani sono carini e tutto sommato anche gradevolmente radiofonici….ma lo spessore? E qui ci fermiamo perchè a ciascuno il proprio sentire.Da Roots! è tutto e come sempre buon ascolto (qui). Bene, avete appena letto la conclusione di questo articolo dedicato a Prim ora però riavvolgiamo il nastro fino al suo inizio; Prim, nome d’arte di Irene Pignatti qui al “suo” album d’esordio pubblicato per la label italiana We Were Never Being Boring Collective, suo tra virgolette, in realtà dovremmo/potremmo parlare anche “dei” Prim come progetto comune, infatti insieme ad Irene (voci, chitarre, ukulele e tastiere) troviamo anche Matteo Mugoni (chitarra elettrica, pianoforte e tastiere), Davide Severi (basso, synth, Omnichord) e Diego Davolio (batteria e pad), musica e testi a firma di Irene Pignatti ad eccezione di Citylights (musica di Matteo Mugoni) e I Love Cats (musica di Davide Severi). Queste in breve le informazioni tecniche poi viene la musica e qui dobbiamo dire che questi ragazzi (o Irene Pignatti, fate voi) hanno realizzato un album pienamente riuscito, non un capolavoro ma con dei brani freschi e senza punti deboli e si anche molto radiofonico (un bene, un male? Fate voi ma per un artista che vuole giustamente “visibilità” od uscire dal solito circuito di nicchia è sicuramente un bene); genere, perchè purtroppo bisogna parlare anche di questo, un indie pop-acustico che non dispiacerà ai più e che se ben supportato non avrà difficoltà a trovare passaggi in qualche programmazione radiofonica od in una qualche serie TV, ora sapete cosa andrete ad ascoltare anche se solo in linea di massima, in realtà le atmosfere variano da brano a brano così come è anche vero che alle nostre orecchie suonano “meglio” quelle più acustiche come nella davvero bella Ireland con un refrain che vi sorprendrà per intensità ed interpretazione vocale della brava Irene (voce perfetta per questo “genere”), non è da meno She, She, She accompagnata dalle note di un ukulele che non sarebbero dispiaciute ad Eddie Vedder, un ritornello solare ed arioso perfetto per un risveglio domenicale; non male anche la più introspettiva Thanatophobia per “quasi” solo piano e voce, forse troppo appesantita da effetti vari mentre almeno noi l’avremmo preferita in una veste più scarna ma qui si entra in ambito di gusti strettamente personali, nessun dubbio invece riguardo alla malinconica ballata acoustic-folk di Thank You For The Flowers, tanto semplice quanto un bel sentire. Le altre tracce si muovono su sonorità più “moderne”, sempre indie (a parte forse l’iniziale Citylights, un acid-jazz primi anni ’90) ma dai sapori più ambient dream-pop come la traccia che darà il titolo all’album, Bathtub o la jazzata ed elegante I Love Cats, tutti brani in sé piacevoli e musicalmente “corposi” ma ovviamente di un sentire “diverso” rispetto ad atmosfere più acustiche. Noi ci fermiamo qui, arrivati a questo punto non vi resta che tornare ad inizio articolo per leggere/rileggervi la “fine”. To be continued….           

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