
Path – Mono/Stereo
(2021, Ostia Records)
by Simone Rossetti
“Sono nato, cresciuto e probabilmente morirò ad Anguillara Sabazia, Roma” (Path)
“Ma dai cazzo, che roba ti sei messo ad ascoltare?….no aspetta, torna indietro”. Mettetevi comodi perché in ogni caso non ridurremmo mai un album ad un semplice “bello/brutto” anche se trattasi di un classico (quasi) cantautorato-rock italiano, genere che non rientra proprio nelle nostre corde ma lo abbiamo ascoltato, riascoltato, ri-ri-ascoltato tra cuffie ed impianto stereo e la sensazione, a pelle (e se anche fosse un nostro abbaglio non ce ne potrebbe fregare di meno) è stata quella di trovarci davanti ad un bell’album (bello nel senso di vero, onesto, “fatto bene”). Una precisazione, niente di nuovo si dirà, non lo sappiamo ed è proprio per questo che ci andremo cauti; fra Lou Reed, Dire Straits, Bob Dylan, Van Morrison e “tanto” (soprattutto vero, come attitudine) Wilson Pickett, Otis Redding, Percy Sledge, insomma Soul! (e già questo ci ha spiazzati), poi c’è la musica, un tutto (testi compresi) ed una voce, quella di Path (Simone, già ne Gli Ultimi, Divergenza e Rude Talking), bella anche se ovviamente potrà piacere o meno ma a noi piace, piace come timbro, come senso ritmico, come si armonizza con un resto (anche se qualche volta sembra voler compiacere uno stile/ascolto), infine ci sono le sue canzoni “raccattate” un pò in qua e in là, storie di tutti i giorni, giorni e tempi distratti da altro eppure basterebbe aprire gli occhi, ecco, Path ci narra quello che non riusciamo più vedere (o ci illudiamo che non esista) e lo fa “fortunatamente” anche con una sottile dose di ironia. Qui non recensiamo, preferiamo dire che parliamo di musica, parliamo di un sentire (sempre discutibile) da leggere soprattutto fra le righe, a ciascuno un suo come è giuto che sia; Vita Nuova ultima traccia a chiudere questo Mono/Stereo, niente, ascoltatela e basta “bella o brutta” che sia, amarissima, dolorosa ma della quale vi innamorerete, perché? Perchè questa è la vita (anche); c’è Madre che si aprirà in un refrain da brivido “e se fosse tuo figlio mama, e se fosse tuo figlio papa, non dormiresti più”, Alabama con una tenerissima citazione ad un noto pezzo di De Gregori ed il reggae-rock di Holland & Dozier, “Mentre i nostri ragazzi andavano in prima, lei faceva un muro tra suo padre e l’eroina, e diceva non potete fermarmi ma, farmi perdere il treno”, una più “spensierata” Notte Sul Ventitrè dalle contaminazioni soul. Ancora storie che hanno “bisogno” di essere narrate prima che svaniscano in un loro ineluttabile oblio in Luci Della Città per concludere infine sulle note di una splendida Dirò In Giro Che Ero Lontano (ascoltatevi quell’Hammond dal classico suono Motown o se preferite Stax). Questo è quanto, un album che come qualsiasi altro album (di qualsiasi genere si tratti) potrà piacervi o meno (o meglio, trovarci quell’intima ed indispensabile sintonia), un album vero e che come tutte le cose vere si porta dentro il “buono ed il meno buono” di un quotidiano vivere; cantautorato italiano? Sì ma in fondo chi se ne frega, basta sia musica “fatta bene” e questa lo è. Da Roots! è tutto e come sempre buon ascolto (qui e qui).