
Onceweresixty-The Flood
by Simone Rossetti
Lo ammettiamo, l’approccio non è stato dei migliori, del tipo “uffa, il solito trito e ritrito indie-rock-italiano cantato in inglese ed il solito finto lo-fi buono solo per fare tendenza”; bene, ci sbagliavamo e non abbiamo problemi ad ammetterlo, capita, non è la prima volta e non sarà nemmeno l’ultima, parlare di musica vuol dire anche questo. Vicentini (solo come attitudine ed approccio) in realtà questi Onceweresixty giungono fino a noi dopo aver attraversato galassie lisergiche (e prettamente lo-fi-sbilenche) a bordo di un vecchio e colorato VW Bulli anni 70; sono Marco Lorenzoni alla voce, chitarra, synth e basso, Luca Sella alla batteria, synth, voce e chitarra (entrambi negli Mr60) ed Enrico Grando ai synth e chitarra e questo The Flood è il loro abum di debutto dietro al quale si celano due interesssanti etichette italiane “molto” indipendenti, la Uglydogs Records e la Beautiful Losers. La galassia alla quale accennavamo è quella di un primissimo shoegaze (dream-pop) metà anni 80 primi 90, My Bloody Valentine, Jesus And Mary Chain, Kings Of Convenience, Belle And Sebastian, echi lontani dei Suicide; niente di nuovo ma nemmeno di “posticcio”, compositivamente e musicalmente è un album ben piantato nel presente, con una sua personalità ed originalità (forse con un unico “limite” ma del quale ne riparleremo alla fine); album che si apre con il pulsare beat di All I Want, pezzo dalle atmosfere sognanti e malinconiche di bell’impatto, non solo, c’è qualcosa di Lynchiano (parliamo del regista David Lynch) in questa musica, straniante, “capovolta” fra tessiture più classiche e le armonie distorte di un organo “giocattolo”, segue Take Me Home una splendida ballata elettroacustica speziata di psichedelia che tanto di cappello, non un capolavoro ma le intuizioni giuste ci sono; si passa alla più dolce Summer che rimanda alle sonorità acustiche dei Belle And Sebastian, ritmo “spazzolato” dal bravo Luca Sella e delicate armonie a racchiudere un tutto, un bel sentire; Rocksong è un’altra notevole ballata dai colori autunnali, ben costruita e che sembra poter e voler esplodere da un momento all’altro, cosa che non farà e forse è un peccato; ed arriva anche il momento della titletrack, senza dubbio piacevole, più “indie” e radiofonica ma dopo quanto ascoltato non ci basta, meglio lo scorrere synth-dark wave della conclusiva Antipopsong, piccola e breve gemma avvolta in un noise notturno destrutturato ed atmosferico, qualcosa di “speciale” e personale che meriterebbe senz’altro un seguito. Non siamo la vostra lista della spesa quindi lasciamo a voi il piacere e la sorpresa di scoprire questo lavoro in tutta la sua interezza, un album che non vi cambierà la vita ma che ha delle buone qualità e soprattutto potenzialità, vedremo; abbiamo accennato ad un “limite” (sempre che lo sia, in realtà si tratta di una considerazione che lascia il tempo che trova), forse lo avremmo preferito più “duro”, più istintivo, con quell’osare oltre che è sicuramente un rischio ma è anche il suo bello (necessario se si vuole portare la propria musica fuori da tutto il piattume quotidiano che ci circonda), non importa, evidentemente non era questo il suo fine e va bene così, The Flood è comunque un buon debutto, anzi, più che buono ma le cui possibilità vanno ben oltre e non vi sveleremo altro; da Roots! è tutto e come sempre buon ascolto (qui o qui).