Roots! n.409 marzo 2022 Not Moving L.T.D. – Love Beat

Not Moving L.T.D. - Love Beat

Not Moving L.T.D. – Love Beat

(2022, Area Pirata Records)

by Tommaso Salvini

Che questo disco mi sarebbe piaciuto, un po’ lo sapevo già: avevo già avuto modo di ammirare la ritrovata formazione Tosco-Emiliana in quel di Pisa, nell’autunno del 2019 e, per quanto quasi tutto il set fosse impostato su nuovi arrangiamenti dei vecchi classici del gruppo, una certa compattezza e concretezza era già ampiamente tangibile. Il punto, però, è che non mi aspettavo che mi piacesse così tanto: Il fatto è che mi ero ingannato già all’ascolto del 7”, sempre del 2019, con un inedito (la splendida Lady Wine) e due rifacimenti di vecchi classici del gruppo: quello non era, infatti, il nuovo singolo dei Not Moving, ma il primo singolo dei Not Moving L.T.D.; un gruppo totalmente nuovo, con nuovi riferimenti e nuove motivazioni. Negare questo sarebbe un po’ negarsi la possibilità di comprendere a fondo i perché del nucleo di sopravvissuti sul tornare a suonare nuovamente insieme: non credo ci sia mai stata la volontà di cavarne fuori un guadagno pecuniario rimestando nelle glorie passate, ma solo la voglia di tornare a suonare insieme perché, quell’alchimia, quella magia del vecchio gruppo sicuramente non erano un frutto del momento, un “adesso e mai più”, ma della capacità di intendersi alla perfezione tra veri musicisti al fine di scrivere grandi canzoni. Negare questo sarebbe anche negare il talento di Iride Volpi, chitarrista di grande valore, sia tecnico che di scrittura (già ascoltata ed apprezzata nei Diggers, sempre con Dome la Muerte, e della quale vi consiglio anche i Lupe Velez, grandissimo combo Garage Punk Blues di Livorno e limitrofi), che qui non è certo chiamata “in sostituzione di” ma a completare ed arricchire delle idee che vanno ben oltre la semplice riproposizione di un culto passato. La componente Wave dalle forti tinte Dark, che animava il Garage Punk dei Not Moving, è qui sostituita da una più che evidente vena Blues, Blues di quello marcio, disperso tra il Delta del Mississippi e il crocevia dove Robert Johnson vendette l’anima al diavolo per suonare la chitarra come un Dio pagano; rimangono le atmosfere Western e quel senso di dannazione eterna che da sempre accompagna i quattro attori ed attrici che interpretano questo spettacolo da Grand Guignol chiamato Love Beat. Si parte con un bel pezzo alla Stones di Exile On Main Street: Rock n’Blues e ritornello di una sensualità inaudita in Deep Eyes dove la voce di Lilith si apre a tonalità basse e rauche; caratteristica che si ripete per l’intero album, aumentando l’attrazione che si prova per questo, di canzone in canzone, di riff in riff, di battito in battito. Una grande prova vocale, senza termini di paragone. Un ostinato di chitarra, nero come il male, da il via a Going For A Ride: la voce di Lilith profuma di Whisky e sigarette (giustamente sottolineato anche nel testo) mentre la chitarra in slide di Dome introduce e conduce in un Western Punk indimenticabile, molto vicino ai Gun Club. Di nuovo Rock n’Blues e Rolling Stones ma dall’incedere più Garage in Down She Goes. Un Garage ossessivo, pregno di rituali voodoo. La batteria di Baciocchi si fa tribale: streghe che ballano intorno ad un rogo, recitando una nenia oscura. Incredibile come i Not Moving L.T.D. sappiano fare convivere, all’interno della solita canzone, più di un universo, molteplici immaginari: Dirty Time viene introdotta da un fraseggio di chitarra in odore di Blues per poi esplodere in un Punk Rock irresistibile; impossibile non agitarsi, impossibile non battere il tempo con i piedi, con le mani, su qualsiasi cosa si trovi nei paraggi: il rischio di distruggere casa è altissimo in questo pezzo. Finalmente arriva Love Beat, pezzo che ha assolto il compito ingrato di fare da anteprima all’intero disco; deve essere stato difficile scegliere in una raccolta così notevole, dove niente stona e niente è fuori posto, ma alla fine Love Beat, anche col senno di poi, pare la scelta migliore: blues fangoso e sensuale, lentaccio per tagliagole, prostitute e sicari. Una sigaretta sul lato della bocca, Whisky alla mano e un coltello da macellaio sempre in tasca. Primitive è l’unica cover del disco; pezzo preso in prestito dai Groupies, favolosi prime movers garage anni ’69: all’originale i Not Moving aggiungono ancora più Blues, più sensualità, più arroganza ritmica. Un brano che spinge senza troppo forzare sull’acceleratore…sono riusciti a fare meglio dell’originale? Non mi esprimo ma, l’unica cosa che so dirvi, è che sono stati sicuramente capaci di cucirselo addosso, farlo diventare perfettamente coerente col resto degli originali. Una prova di carattere e di compattezza dell’insieme. Ora ne ho la certezza: i Not Moving L.T.D. sono un gruppo vero, nulla di rimesso in piedi giusto per sfruttare la vecchia ragione sociale. Come se non bastasse, un altro mantra streghesco si abbatte sulle nostre teste: Don’t Give Up è un Garage Blues cantato a due voci, quella di Lilith in primo piano e quella di Dome a fare da sfondo: un altro stornello maledetto sostenuto da una ritmica vivace e da un’atmosfera tutt’altro che salubre: Eros e Thanatos, croce e delizia, dolci e violenti contrasti, come scritto poco sopra: una capacità incredibile nel fare convivere più immaginari in un pezzo da tre minuti che tradisce qualcosa di più che il semplice talento: questa è poesia, è genio, è estro e vissuto sopra le righe. Rubbish Land è il mio pezzo preferito del disco: un Blues dai contorni Western, un tributo a Jeffrey Lee Pierce e ai Gun Club più sepolcrali e cadaverici. La voce di Lilith qui tocca l’apice della sua sensualità decadente e fa franare dolcemente l’intero disco su Red Line, piccola chiusura dove si ripropone l’ostinato di chitarra di Goin’ For A Ride: il cerchio si chiude, il disco volge al termine e l’unica lamentela che possiamo muovere è forse la scarsa durata: vorrei ascoltare ancora altre composizioni, vorrei che i Not Moving L.T.D. avessero licenziato un disco da tre ore tanto questo mi diverte, mi tiene in tensione, mi rattrista e mi solleva…in poche parole: mi fa sentire vivo ; il che, in un disco, è sempre stata cosa assai rara ma che qui, bene sottolinearlo, è caratteristica fondante e principale motivazione. Un inno alla vita senza tanti moralismi, frasi retoriche e ipocriti sentimentalismi: la vita è vita quando ti delizia, ti vizia e ti culla e resta vita anche quando delude, quando ti tira giù, nel fondo dell’inferno, e non ti lascia nemmeno un briciolo di speranza. Questo disco rappresenta questo e, accidenti a me, riesce a comunicarlo in meno di mezz’ora…Da Roots! è tutto e come sempre buon ascolto (qui).

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