
Nina Zilli – Nina Zilli
(2009, Universal Music Italia)
by Luca Agozzino
Mi trovai molto d’accordo sulla specifica che mi venne fatta a proposito di Roots!, ovvero che al suo interno non si fanno recensioni ma si parla di musica, d’altronde l’informalita’, l’antispecialismo e l’antiaccademicita’ sono tra quelle cose su cui bisognerebbe puntare per uscire dalla sopravvivenza in cui annaspiamo e creare una società finalmente vivibile, ma, come direbbe Carlo Lucarelli a polpastrelli giunti: “Questa, è un’altra storia”. In questo caso una premessa era però doverosa, non a rischio di andare fuori tema e perdersi in chiacchiere ma con la chiara intenzione di farlo, perché il disco di cui parlerò tra poco mi trasmette proprio quella voglia di lentezza, di tempo preso per noi stessi, tempo recuperato dalle brutture che giornalmente ce ne vampirizzano in quantità; al lavoro, alla fermata dell’autobus, in fila nel traffico, in fila al collocamento, in fila per un tampone. No, fermi tutti, questa non è roba da ascoltare mentre ci sballottiamo da un muro del pianto all’altro. Ci si piazza dove e nella posizione in cui siamo più comodi, se questa lo consente non ci neghiamo una birra o qualunque altra cosa sia pura gola e vizio e ci “mettiamo su” l’EP d’esordio del 2009 di Nina Zilli, di cui porta il nome, e per 21 minuti e 53 secondi, sempre che non ci venga voglia (come probabilmente sarà) di riascoltarlo, non vorremmo sapere un cazzo di nient’altro. Nina (all’anagrafe Maria Chiara Fraschetta, che prende cognome e nome d’arte rispettivamente da sua madre e da Nina Simone) irrompe sulla scena musicale doppiamente a gamba tesa con 50mila, perché è un pezzo soul che nulla ha da invidiare a capisaldi del genere di qualche decennio fa e perché ad accompagnarla c’è Giuliano Palma; si vola già altissimo. Un’alzata di cresta, si potrebbe pensare, un vezzo, chi ha il coraggio di proporre musica soul nel 2009, in Italia per di più? Amy Winehouse ha funzionato all’estero ma qui da noi è un suicidio, dal secondo pezzo si passerà sicuramente a qualcosa di più “commestibile” per l’orecchio medio post-industriale della bassa Europa. Ed invece per niente proprio; L’inferno e Come Il Sole confermano l’impronta soul del disco e rincarano la dose con degli stacchi northern, uptempo nel primo caso, midtempo nel secondo. Dopo tre pezzi è già estasi, e potrebbero anche partire i “92 minuti di applausi” di fantozziana memoria, per quanto mi riguarda mi sarei accontentato di interrompere qui la carriera e tirare avanti con diritti d’autore e lezioni di pianoforte, strumento che la nostra conosce bene, ed invece si prosegue. La quarta traccia, Tutto Bene, mi sento di presentarla con le parole usate dalla stessa Nina per introdurla nel corso di un live (Nina Zilli Live – Blue Note): “Dedico questo pezzo a tutti quelli che non rimangono inermi davanti alle ingiustizie del capitalismo e soprattutto a tutti quelli che più le cose vanno male, più dicono che va tutto bene, c’è qualcosa che non quadra, i conti non tornano”. Penelope, il brano reggae dell’EP, descritto a più riprese dall’autrice come fortemente rivolto alle donne ed alla loro forza ed autodeterminazione, precede la cover di L’amore Verrà, versione in italiano di You Can’t Hurry Love delle Supremes, già cantata in lingua italiana dalle stesse gigantesse della black music. Chiude il disco il blues struggente di Bellissimo, con cui Nina ci ricorda che forse non conviene provare a cantare come lei, sarà più prudente dare semplicemente un gran bel secondo ascolto a questa gemma, se non altro per evitare figuracce. A questo punto non vi rubo altro tempo per godervi Nina Zilli. Da Roots! è tutto, e come sempre, buon ascolto (qui o qui).