Roots! n.52 novembre 2020 Neil Young and Crazy Horse – Zuma

Neil Young and Crazy Horse - Zuma

Neil Young And Crazy Horse – Zuma

(1975, Reprise Records)

by Simone Rossetti

And war was never known, the people worked together, and they lifted many stones, they carried them, to the flatlands, and they died along the way, but they built up, with their bare hands, what we still can’t do today” (da Cortez The Killer)

Come ripetiamo spesso non è tutto oro quel che luccica, siamo soliti guardare verso quello che più attira la nostra attenzione, quello che più ci “abbaglia”, ma c’è anche (ed è il di più) quello che si nasconde dietro, quella “cosa” con la quale dobbiamo confrontarci tutti i giorni, nessuno escluso; anche Neil Young doveva saperne qualcosa, da una parte una carriera ricca di soddisfazioni e di successi, dall’altra la vita, quella fatta di cadute, di sconfitte personali, di accettazioni; una vita raccontata fra le righe di un pentagramma, le sue note, i suoi testi, la musica non “prima di tutto” ma come parte stessa di un insieme più grande e non scindibile; per questo è difficile recensire un album di Neil Young, non si tratta solo di musica, è qualcosa di molto più personale, intimo, che merita un approccio diverso. Zuma arriva sul finire del 1975 dopo un periodo di eventi tragici racchiusi nella trilogia di Time Fades Away, On The Beach e Tonight’s The Night; Zuma, non è una vera e propria risalita ma almeno è un tentativo, piccolo ed importante passo. In questo album Neil Young si farà accompagnare dai suoi amici e compagni di sempre, i Crazy Horse, e non a caso, per tutti ci sarà il bisogno di ripartire e guardare oltre; parliamoci chiaro, se paragonato ad alcuni suoi capolavori del passato (Harvest e After The Gold Rush) questo è inferiore (parola orribile da usare, mi sembra di essere su una rivista di quelle “rispettabili”), quindi no, diciamo che ci sono alcuni bellissimi brani ed altri momenti un pò “forzati” ma come sempre siamo in presenza di “un tutto” e questo tutto “scorre”. Looking’ For a Love è una bellissima ballata rock-folk mid-tempo con un refrain dove la voce di Young sa fare la differenza “Looking for a love, that’s right for me, i don’t know how long, it’s going to be, but i hope i treat her kind, and don’t mess with her mind, when she starts to see, the darker side of me”, un altro bel brano è Barstool Blues, un folk elettrico  dove la voce di Young si fa ancora più acuta, un pezzo quasi alternative-rock (anzi, senza il quasi), si sente che c’è affiatamento e tutto “bene o male” funziona; Cortez The Killer (andate a leggervi la storia) è un piccolo capolavoro, l’atmosfera è cupa, elettrica, pesante, riflette bene il bellissimo testo, c’è una lunga introduzione strumentale in un lento crescendo, la melodia si svelerà pian piano, i riff hanno il peso di veri e propri macigni, poi entra la voce di Young e tutto prende forma compiuta, talmente dolorosa da sembrare irreale; veramente bella anche la malinconica ballata acustica di Pardon My Heart, pochi accordi di chitarra e cori che accompagnano Young in quella che sembra essere una riflessione sulla fine di una relazione, ci sono le simpatiche e più leggere Stupid Girl e Don’t Cry No Tears o il rock elettrico di Drive Back, ma c’è ancora il tempo per chiudere con due pezzi più riflessivi, Danger Bird dai profumi psichedelici (forse un pò lunga e ripetitiva) e la delicata e splendida Through My Sails, armonicamente perfetta, un brano che questo fottuto mondo non si merita, forse nel 1975 le cose andavano diversamente, forse, comunque c’è ed è sempre un “piacere semplice” poterla riascoltare. Qui bisogna concludere ma torneremo a parlare di Neil Young (qui), soprattutto lasceremo che la sua musica parli per noi, ieri come oggi, aspettando il suo (e nostro) inevitabile trascorrere, ma il farlo in buona compagnia è già un qualcosa di prezioso; questo fottuto mondo può aspettare, da Roots! è tutto e come sempre buon ascolto (qui o qui).

 

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