
Mötley Crüe – Theatre Of Pain
by Simone Rossetti
Tempo fa avevamo parlato dei Guns N’Roses, da qui ai Mötley Crüe il passo è stato breve, una rivalità che andrà ben oltre la stessa musica, “quasi” fisica; sesso, droga e rock’n roll ma non solo, quel successo mondiale che come spesso accade sarà difficile da “gestire” a livello umano e che avrà delle inevitabili e drammatiche conseguenze sui componenti della band; ma questo è gossip (e storia) mentre a noi di Roots! interessa la musica ed è di questa e solo di questa che parleremo. Se non i fondatori dell’hair metal i Motley Crue ne sono stati fra i maggiori esponenti, un genere che può piacere o meno ma che ha dominato le classifiche mondiali della seconda metà degli anni 80, un genere discutibilissimo (diciamolo, più estetico che di sostanza) ma fatto anche di buon rock’n’roll (metal sarebbe un parolone); i Mötley si formarono agli inizi dei primi anni 80 in quel di Los Angeles, Vince Neil alla voce, Mick Mars alla chitarra, Nikki Sixx al basso e Tommy Lee alla batteria ed occasionalmente al piano, un approccio subito diverso rispetto alla classica NWOBHM, una mentalità tutta “americana” puntata al successo e ad una certa estremizzazione “mediatica”, un rock’n roll tiratissimo, ma tutto sommato patinato, con influnze blues e riff punkeggianti; la differenza stava in quell’immagine “glam” fatta di trucco femminile e lacca per capelli, un’immagine che evidentemente in quegli anni riscosse un notevole successo; oltre a questo c’era (per fortuna) anche la musica e Theatre Of Pain (loro terzo album in studio pubblicato nel giugno del 1985 (Elektra Records) è una buona dimostrazione di come si poteva unire l’irruenza metal ad un ascolto più radiofonico stile rock FM (senza quindi nessuna implicazione sociale-politica ma semplicemente basandosi sul classico sex, drugs, and rock’n roll). E fu subito un successo enorme; oggi a distanza di 35 anni Theatre Of Pain suona datato come le stesse mutande portate per quattro giorni di fila ma a differenza di molti altri album hair-metal dello stesso periodo (ed anche di molta musica attuale) ha sostanza (quella del rock’n roll) e corpo (spessore musicale) e non è poco, poi tutto è discutibile. City Boy Blues, traccia che apre l’album, è un bel pezzo di rock roccioso con sfumature blues, radiofonico ma non banale, sulle stesse coordinate hard-blues si muove la cover dei Brownsville Station Smokin’In The Boys Room, un blues rivisitato ovviamente in chiave glam ma di buon impatto; Keep Your Eye On The Money si presenta con riff in stile molto AC/DC, buono ma senza averne la stessa intensità; va meglio in Tonight (We Need A Lover) che ha dalla sua un bel ponte ad effetto, mentre più classicamente “metal” per ritmica ed approccio è Use It Or Lose It ma si resta comunque nel pianeta “America”; non vogliamo lasciarvi senza menzionare un’ultima traccia, quella Home Sweet Home che, giustamente o meno, resterà nella storia del rock, non sappiamo se sia un capolavoro ma è una ballata che per intensità e potenza (nel senso di melodia ed armonia) avrà pochi eguali, un pezzo che saprà andare oltre le loro e le nostre umane miserie e c’è poco da dire, la classe non è una questione di lacca o di trucco, o c’è o non c’è e sfidiamo chiunque a dire che qui non ci sia. Bene, per arrivare “a’i lesso”, come si suol dire da queste parti, Theatre Of Pain è un buon album, niente di imprescindibile (seppur abbia venduto milioni e milioni di copie) ma se avete voglia di ascoltare del buon glam-rock FM, piacevole e non troppo impegnativo questo sarà l’album perfetto; un consiglio, godetevelo senza “vergogna” (ed in compagnia di una buona birra) perchè al di là delle varie etichette di genere è quanto di più rock’n’roll ci possa essere. Siete su Roots! che vi augura come sempre un buon ascolto (qui, qui o andatevelo a prendere nel vostro più vicino negozio di dischi (?) che è sempre la scelta migliore).