Roots! n.195 giugno 2021 Max Roach – We Insist! Freedom Now Suite

Max Roach-We Insist! (Max Roach’s Freedom Now Suite)

Max Roach – We Insist! (Max Roach’s Freedom Now Suite)

by Simone Rossetti

C’era una volta il jazz. 1960, New York; stiamo parlando di un album pubblicato 60 anni fa eppure ancora attualissimo, da allora sembra sia cambiato poco o nulla, in realtà molto è cambiato, musicalmente, il jazz prima di tutto, nato come forma di protesta, di controcultura, di consapevolezza ed ora ridotto (tranne rare eccezioni) a musica da apericena, non il resto, tutto il contorno, tutte le sue assurdità, tutto questo fottuto mondo, tutte le sue “paranoie”,  sono rimaste uguali. Preferiamo saltare eventuali considerazioni “soggettive” sull’attuale scena jazz (e sul “rock” in generale) quindi passiamo oltre (magari ci ritorneremo su alla fine); 1960, ben lontani ancora da quella “parità” di diritti che arriverà (?) solo molti anni dopo, eppure eccola qui, una fra le più belle “opere” jazz mai realizzate, una dichiarazione d’intenti, politica certo, ma soprattutto di consapevolezza, una rivendicazione della propria dignità, del proprio Io. Una suite nata in un momento in cui cresceva il sentimento e la richiesta di avere pari dignità, pari diritti ed era solo l’inizio; la musica non cambia il corso della storia (non credete a chi vi dice il contrario), magari fosse così ma non lo è, la musica ne è solo l’espressione, il desiderio, il bisogno, l’urgenza, un possibile riscatto, per il resto è nulla ma è comunque tanto. Max Roach, uno fra i più grandi batteristi, jazz ma non solo, di tutti i tempi, uno che ha dato respiro e musicalità al semplice scandire metrico della batteria, uno che ha attraversato tutta la storia del jazz, dalle chiese battiste, al bebop, all’hardbop, al modale, al free, senza mai essere o diventarne “un divo”, sempre e solo dietro le “pelli”, immenso. Come immensa è questa Suite in cinque movimenti, un manifesto “totale”, jazz, che poi lo si possa definire free jazz (forse ancora troppo prematuro) non lo sappiamo, come attitudine e approccio sicuramente si, ma musicalmente è piuttosto modale, soprattutto è poesia. Max Roach alla batteria quindi ma c’è anche la voce, aspra e dura (e bellissima), di Abbey Lincoln, la tromba di Booker Little, il sax di Coleman Hawkins, le percussioni di Michael Olatunji e di Raimond Mantilla e tutta una sezione fiati di primissimo piano; state per ascoltare qualcosa di veramente, concettualmente, grande. Driva’Man apre questa suite sulle note recitate da una bravissima Abbey Lincoln (artista e voce molto sottovalutata del panorama jazz), una reading poetry aspra ed intensa, poi partirà il brano vero e proprio, un tema cupo, amaro, sommesso che sembra voler esplodere da un momento all’altro ma non lo farà, resterà in questa sorta di limbo in attesa che la voce della Lincoln lo accompagni verso il suo epilogo con una voce ancora più scura e cruda. Ma siamo solo all’inizio, a seguire la stupenda Freedom Day, un capolavoro nel capolavoro, la si può solo ascoltare, musicalmente ha un incedere solenne con un tema da brivido, un susseguirsi di note ed emozioni difficili da descrivere, si va avanti ad oltranza fino alla ripresa del tema iniziale ma sotto una nuova forma, senza vincoli o schemi. Triptych: Prayer/ Protest/ Peace, un canto-lamento che si dispiegherà lungo più di 8 minuti per solo voce e batteria, a tratti durissimo ma un gran bel sentire; All Africa riprende suoni ed atmosfere del continente africano portandoli in territori spiritual-jazz, un ritorno alle origini in un crescendo ciclico, un rito voodoo, una danza tribale, la rivendicazione della propria storia; chiude Tears For Johannesburg più “jazz” ma resterà quel confrontarsi con ritmiche afro in uno spingersi oltre. We Insist! (Max Roach’s Freedom Now Suite), 1960, Candid Records, un’opera imponente, ambiziosa e che forse ad un primo ascolto può lasciare  un pò spaesati ma c’è veramente del grande jazz, grandissima intensità emotiva e spirituale, e siamo solo nel 1960; oggi, anno 2021, un nulla, una resa, un rassicurante vuoto e qui ci fermiamo. Da Roots! è tutto e come sempre buon ascolto (qui o qui) .

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