
Maurizio Abate – Semi Mondi
(2022, EEEE Records)
by Tommaso Salvini
Partiture per chitarra ed altri ammennicoli sonori, si direbbe, incompiute. Incompiute in quanto non hanno un inizio e né una fine ma soltanto un’atmosfera, una weltanschauung, una semplice volontà di rappresentare ciò che in arte è difficile rappresentare: l’incompiuto. Tutto a questo mondo resta incompiuto, sospeso tra quello che sarebbe potuto essere e quello che non è mai stato.
Le nostre vite restano incompiute, così, spiace dirlo, tutto quello che facciamo. Tendiamo a dare un inizio ed una fine a ciò che facciamo per dargli un percorso, o meglio ancora un tempo, una sorta di cadenza; insomma, ci illudiamo che stabilendo un principio e un termine in un lasso di tempo stabilito o meno, si riesca infine a dare un senso alle nostre vite. Il tempo misura le nostre vite, ma come si misura il tempo? Il tempo, il ritmo e il loro calcolo, ce li siamo inventati nel vano tentativo di dare un senso al tutto (che dire/scrivere “tutto” è un po’ come dire/scrivere “niente”). Maurizio Abate questo lo sa e, in questo Semi Mondi, non da tempo, non da ritmo, non da una misura che sia una e fa vivere ogni composizione come se fosse uno stralcio, un frammento di vita. Una solitudine intellettuale descritta con fraseggi e intuizioni improvvise, cambi di cadenza e melodia; tutto questo grazie ad un una tecnica chitarristica spigliata e consapevole e, qua e là, piccoli inserimenti puntuali di archi, rumorismi assortiti e un’abbondante sensazione di vuoto. Un vuoto creato per dare un senso di spazio infinito dove il tempo più non conta: il disco scorre e non si guarda mai l’orologio tanto si è avviluppati in esso. Non porre il tutto in una gabbia ritmica si rivela quindi carta vincente: vincente perché questo inganna il tempo, sia da un punto di vista ritmico che da un punto di vista cronologico; individuare la data di uscita di questo disco, senza essersene precedentemente resi edotti, è un esercizio impossibile: potrebbe essere uscito da due sole settimane come dieci anni fa o anche un secolo fa. Senza ritmo in quanto eterno, davvero un’operazione riuscitissima. Non ci si confonda e non ci si inganni comunque: per quanto questo disco viva, per lo più, di sola chitarra, ambiente e da fughe stilistiche dettate da sensazioni interiori, non si concede mai a soluzioni barocche, inutili esercizi di bravura e tecnica: Abate, con maestria, tiene a freno la sua pur evidente capacità e declina il tutto alla sintesi, alla bontà ed alla coerenza e compattezza dello svolgimento sonoro. Il tempo come disciplina è qui carta straccia, l’autodisciplina dell’artista è pratica assai più ferrea e qui dimostrata con rigore quasi scientifico. Non è quindi questo una mera mostra di muscoli maturati in anni di esercizi, e meno che mai pura tecnica esibita senza spirito o volontà di rappresentazione; questi sono i pomeriggi trascorsi nella noia e rotti all’improvviso da un lieto evento oppure il completo opposto; pare quasi che ne suoi fraseggi, le sue frasi ritmiche, nei suoi arpeggi Abate segua una linea puramente emotiva, vale a dire che pare più preda dei suoi moti interiori che di un vero e proprio tracciato stilistico; ed è un po’ questo a segnare in forma definitiva, definitiva e squisitamente incompiuta nello stesso istante, la cifra ultima di questo disco: l’incompiutezza dell’essere umano, il suo continuo glissare di fronte alle definizioni, alle categorie, sempre e comunque figlio e figlia di contraddizioni, dolori che si alternano a piaceri, lutti che diventano feste, dispiaceri che si tramutano in spunti creativi. Ogni volta che ci diamo una regola mentiamo a noi stessi, noi non siamo regola ma improvvisazione di fronte alla tempesta. Un bravo di cuore a Maurizio Abate per averlo saputo rendere in musica. Un plauso accorato alla svizzera EEEE per avere sempre il coraggio di dare un formato fisico a queste avventure soniche prive di tempo e di solipsismi insulsi. Da Roots! è tutto e come sempre buon ascolto (qui).