
Mary Lou Williams Trio – Free Spirits
by Simone Rossetti
Free Spirits (1976, SteepleChase Records), Mary Lou Williams al piano, Buster Williams al basso e Mickey Roker alla batteria; un jazz scarnificato fino all’osso, solo il minimo indispensabile eppure che gran bel sentire; perchè una considerazione ci sentiamo di farla subito, questo non è un jazz da mettere su come sottofondo per qualche insulsa apericena fra “disperati” o mentre mangiate un mega cheeseburger con il formaggio fuso che vi cola dai lati della bocca, no, questa è una musica da mettersi lì ed “ascoltarla”, gustarla in tutte le sue sfumature, è tecnica (enorme, Buster Williams al contrabbasso è inarrivabile), ha un’anima e radici profondamente “black”, è un jazz che va oltre al jazz restando classicamente jazz. Un passo indietro; Mary Lou Williams, pianista, compositrice ed arrangiatrice statunitense (Atlanta, 8 maggio 1910 – Durham, 28 maggio 1981), forse non molto conosciuta qui da noi ma che ha suonato e collaborato con tutti i più grandi del jazz (da Dizzy Gillespie a Buddy Tate ma non ve li staremo ad elencare tutti per evitare la solita e prevedibile lista della spesa) ed inutile dirvelo ma è brava e con un tocco pianistico molto personale; questo Free Spirits risale al 1975 (anno di registrazione), il jazz degli albori si era già evoluto verso nuove sonorità e contaminazioni ma non aspettatevi qualcosa di particolarmente “innovativo”, anzi, lo stile pianistico della Williams segue il percorso di un tutto sommato rassicurante jazz modale (McCoy Tyner, Bill Evans, Herbie Hancock, solo per citarne alcuni) ma l’insieme è più asciutto, molto blues (in qualche passaggio ci ricorda anche lo stile “disarmonico”del grande Thelonious Monk) ed alcune riletture di classici come Dat Dere (Bobby Timmons), All Blues (Miles Davis) o la splendida Free Spirits (John Stubblefield) sembrano prendere nuova vita, o meglio, voler tornare alle radici più “nere” di una musica che oggi si è oramai classicizzata e stereotipata; a firma della Williams c’è la swingante Blues For Timme, l’intensa Pale Blue (molto Davisiana), il pulsare afro di Ode To Saint Cecilie con un giro di basso micidiale e la conclusiva Gloria dal crescendo funky-gospel (grande lavoro di Mickey Roker alla batteria). Precisiamo, non è un album “imprescindibile”, non è necessario ascoltarlo “per forza” ma in mezzo a questo nulla di mediocrità esaltata a capolavoro (stiamo parlando di jazz ma si potrebbe dire lo stesso per il rock ed i suoi sottogeneri) è ancora un bel sentire, ha classe, potenza e consapevolezza (come ci ricorda il titolo); ora sapete cosa fare ma anche cosa non fare, in ogni caso “fatela bene” altrimenti vi perdereste il meglio. Da Roots! è tutto e come sempre buon ascolto (qui o qui).
Tracklist
Dat Dere, Baby Man #2, Baby Man, All Blues, Temptation, Pale Blue, Free Spirits #2, Free Spirits, Blues For Timme, Ode To Saint Cecile, Surrey With The Fringe On Top, Gloria