Roots! n. 237 agosto 2021 Manuela Salinaro

Manuela Salinaro-Main Hands

Autore: Manuela Salinaro

Titolo: Main Hands  

Anno: 2021

Genere: ethno, world music  

Città: Italia, varie località

Formato: CD, MP3

Componenti: Manuela Salinaro (percussioni) Francesco di Cristofaro (polistrumentista), Redi Hasa (cello), Giovanni Chiricò (sax soprao) ed altri.

Tracks: South, Acqua, Avott’, Limping Wind, Rohi, Mashrabiya, Za’atar, Main Hands

Etichetta: Liburia records  

Sito web: Manuela Salinaro

Manuela Salinaro – Main Hands

by Alessio Impronta

Manuela Salinaro è una giovane percussionista pugliese. Nel 2013 fonda la band Kerkim: un nome, una storia. La parola in albanese infatti significa “guardare”, “ricercare”. E possiamo dire che mai un nome di una band fu più sensato, più coerente con il contenuto musicale e con la storia del gruppo e della Salinaro. Infatti, partendo da radici musicali salentine e del Sud Italia in generale, la ricerca musicale della nostra percussionista si è sviluppata cercando ed aprendo ponti con la musica balcanica, la tradizione albanese e greca e con l’approdo sulle coste africane ed asiatiche. Ed ecco Main Hands, lavoro solista. Un disco unito con un filo quasi inspiegabile ma che eppure è avvertibile lungo tutto il percorso di questo bel lavoro uscito da pochissimo. Siamo immersi in ritmi e melodie che ci appartengono dal profondo della nostra cultura e della tradizione musicale che ci circonda. I rimandi a tante parti del Mediterraneo emergono e scompaiono lungo tutte le tracce. Ritmi e musicalità antiche, quasi eterne potremmo dire ma suonate con “voci” nuove. Tamburi, violoncelli  sax ed elettronica a fondersi in un’armonia che conquista fin dalla prima traccia, South, un tripudio di percussioni che in realtà inizia e chiude anche l’album (con la title track Main Hands). Se vogliamo fare riferimenti ad artisti più noti, che possano darci subito un’idea dell’atmosfera del disco, pensate alla senegalese Fatoumata Diawara, alla gambiana Sona Jobarteh. Ad alcuni momenti di un lavoro come Palepoli degli Osanna, con questa musica che si alza dalla strada e si fonde con la città ed anche ai lavori di Mickey Hart (Mysterium Tremendum,, Global Drum Project etc. non solo in alcuni riferimenti musicali ma proprio nell’idea di costruire “ponti musicali”). Il disco, sinceramente, è bello davvero. E’ un disco semplice e…non facile allo stesso tempo, pieno di idee e richiami, come detto, ma sono richiami che non hanno bisogno di spiegazioni: li abbiamo già tutti in noi, se solo sappiamo ascoltare ed aprire la mente. Personalmente, mi è piaciuta molto la doppietta Acqua e Avott’, secondo e terzo pezzo del disco (Aqua è il “singolo” attualmente reperibile su YouTube). Questi due pezzi, insieme al primo già citato South sono il biglietto da visita di tutto il lavoro: l’Africa subsahariana e la tradizione musicale della Tammurriata a fluire quasi senza soluzione di continuità. Altro bel picco dell’album, il pezzo Mashrabiya, dove il cello suonato dal musicista albanese incontra la percussione iraniana denominata “zarb”, in genere suonata da donne. La Mashrabiya è un dispositivo di ventilazione naturale tipico dell’architettura araba. E noi lo prendiamo come simbolo di questo disco: una ventata d’aria fresca in musica, di ricerca intelligente ed alla portata di tutti, che raggiunge il suo scopo: essere musica universale, senza barriere. Buon ascolto! (qui o qui).    

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