
Lukasz Mrozinski – Merçe
(2022, I Dischi Del Minollo)
by Tommaso Salvini
È dunque questo un incubo o un sogno? Si procede su di una placida superfice morbida o su di un terreno roccioso, scosceso, intervallato da ostacoli? Il sax di Lukasz Mrozinski certo aiuta a non ferirsi, non del tutto, tra atmosfere sospese in un eterno ritorno e selvagge celebrazioni pagane, con note dolci come lo scivolare nella paresi indotta da cicuta. Rumorismi rubati da un bosco all’albeggiare, mentre una chitarra lancia accordi in delay sospesi sopra voragini di infinito: Autarchia ci asseconda, col sax suadente e quel rumore di macchia boschiva ci riporta a casa, tra alberi, grotte, e percussioni appena accennate “Siamo salvi” pronunciamo mentre il brano svanisce, quasi si disintrega sul finale. Primo Passo è un brano dove la musica si fa da parte quando la voce compare e recupera l’intera piazza quando questa si fa assente, in un gioco che fa girare il pezzo all’infinito nell’ingranaggio delle nostre teste: “Ho preso le distanze dalle mie parole per ricordare che il suono dell’amore non mi cura più” una frase che ferisce e lascia stesi al suolo a sanguinare, lungo vie fatte di indifferenza; quando il sax torna pare quasi di percepire in forma solida quel senso di fatalità che prima sembrava solo una presenza da sfondo, di contorno; ora siamo abbandonati tra le braccia di un presente che non conosciamo poiché orfani d’amore ed empatia “dal sonno al vuoto per non cadere nella corrente, rotola sempre” e il sax si mette a giocare brutti scherzi, si fa dissonanza, si fa mutazione irreversibile e rotoliamo spacciati nel ritualismo pagano di Secondo Passo “Hai mai avuto paura?” certo, e adesso ancora di più! Due voci dialogano, una è suadente mentre l’altra è lasciva e perversa; la ritmica industriale guida verso labirinti urbani infiniti, senza via d’uscita ma, ad un tratto, in ottima soluzione d’arrangiamento, il brano si fa cantautorale, con tanto di chitarra acustica, per poi tornare dissonante sul finale. Questa continua alternanza di atmosfere, da freddo a caldo, da caldo a freddo, lascia sempre più inquieti poiché non si riesce mai a prevedere quale sarà il prossimo passo… il Terzo Passo, difatti, parte in modo anonimo, solo un beat elementare, scarno, privo di direzione che non sia l’avvolgersi su se stesso, poi dissonanze assortite e, a sorpresa, una sortita acustica e campestre, ed è così che si risolve il brano: un attacco martellante che pare promettere tempesta ma che sfocia in paesaggi bucolici tra il sognato, il vissuto e l’immaginifico. Il sax, sensuale e notturno, conduce e accompagna ogni fine con un nuovo inizio e, nel finale, dai campi ci si trova proiettati, tra suoni metallici, sintetico e digitali, nel profondo spazio. Anche questo finale è una sorpresa: questo disco sfida ogni logica, elude sapientemente i percorsi già tracciati e non si affida a gusto alcuno che non sia quello dell’autore stesso. E anche Quarto Passo è un passo verso una porta che cela, al suo interno, chissà quale nuova avventura: e infatti, nella sua ritmica insistente, il clima Post Punk, il cantato sussurrato quasi parlato in una tonalità bassa come l’ultimo girone dell’inferno, sembra quasi di ritrovarsi in un film noir; nuvole di fumo, panama in testa ed un cadavere steso per terra… dallo spazio profondo alla scena di un delitto, suggestioni come pioggia e che non si arrestano: il finale è affidato ad un’esplosione improvvisa, senza il tempo di prendere le dovute precauzioni: Post Rock? Post Punk? Industrial? Non lo so, son sempre qui che mi riprendo dallo schiaffo infertomi a tradimento da Mrozinski che, di par suo, pare quasi volersi scusare con l’inizio di pianoforte, tenero e morbido, di Quinto Passo ma, improvvise tempeste di chitarra dissonante, in modalità da guerriglia “colpisci e nasconditi”, mi ricordano che non devo fidarmi. E infatti, sempre usando una notevole capacità in fase di arrangiamento, Mrozinski rimbalza qui tra cantautorato, di scuola genovese, prog e Synth Wave per poi fare ritorno sulle improvvise esplosioni di chitarra satura e greve… È talmente avvezzo alla scrittura spigliata, totalmente votata alla versatilità che l’interesse per questo disco cresce man mano che lo si ascolta; certamente ascrivibile ad un cantautorato italiano di scuola, come si diceva, genovese ma proteso verso il futuro, conscio che, se qualcosa ci ha insegnato quella scuola di pensiero e musica, è che la musica d’autore non deve essere solo racconto ma anche continua ricerca e sperimentazione: l’autore non è una figura bastante a se stessa e autorevole in quanto tale ma perché deve sempre essere proiettato verso un altrove, verso, cioè, una continua sperimentazione e commistione; in questo, Mrozinski, si rivela come uno degli eredi più credibili in tal senso e riesce a stupire anche quando, nella conclusiva Ultimo Passo, si congeda con un classico in stile Tenco: eravamo già pronti a chissà cosa e invece ci sorprende con un pezzo lineare, acustico e perfettamente allineato con la tradizione; un modo sottile e sapiente per chiudere il tutto in beffa e noi, piacevolmente beffati, ascoltiamo con piacere un brano perfetto in cui, il nostro, dimostra di sapere, certo, rimbalzare da palo in frasca senza mai perdere credibilità e tensione nell’economia del pezzo ma sa farlo perché sa partire da brani lineari, semplici e disadorni, ridotti all’osso di sola voce e chitarra. Un talento votato all’effetto sorpresa ma fondato su concrete basi autoriali: chi sa scrivere sa anche sconvolgere il racconto e trarne tumultuosa materia nuova. Lucasz Mrozinski appartiene senz’altro a questa categoria e noi lo ripaghiamo con la dovuta ammirazione. Da Roots! è tutto e come sempre buon ascolto (qui o qui).