
Linguaggi Comuni – Residenza Artistica
by Simone Rossetti
Non fate l’errore di sottovalutare questo piccolo album, sia ben chiaro, non un capolavoro e con tutti i suoi limiti ma anche con delle buone intuizioni ed un approccio che lo portano, quel tanto (o poco) che basta, al di sopra di un panorama musicale nostrano (nazional-popolare) votato ad un nulla quasi totale. Stiamo parlando di indie-rock, italico, un genere che non amiamo particolarmente e del quale no ne sentiremmo la mancanza ma che va detto, ben rappresenta questi tempi “liquidi”. Eppure in questo lavoro c’è qualcosa che affascina ed allo stesso tempo mostra tutte le sue fragilità; Linguaggi Comuni, nemmeno una band vera e propria come comunemente si potrebbe pensare ma un progetto nato all’interno di una “residenza artistica” (La Torre del Centro Musica di Modena) e curato dalla To Lose La Track, cinque musicisti (Francesco Bonora alla batteria, Vincenzo Giugliano alla chitarra, archetto e voce, Francesco Molinari alla chitarra, basso e synth, Davide Traina alla chitarra e Matteo Verona sempre alla chitarra) provenienti da diversi contesti musicali ed accompagnati in questo percorso da Andrea Mangia (in arte Populous), un percorso che non sappiamo nemmeno se avrà un seguito ma che lo meriterebbe (questo a prescindere da gusti e preferenze personali). Album pubblicato in un ancora incerto 2021 e del quale sembra subirne tutto il peso, indie-rock ad un primo ascolto, in realtà le sonorità sono più cupe, quasi post-punk (quello più melodico del revival fine anni 90 primi 2000) e synth pop; prima però parliamo di limiti, un Ep non è un album, non ne ha l’interezza, è un qualcosa ancora in divenire ed in quanto tale ne parleremo, poi il suono, fin troppo definito e pulito, per alcuni un pregio per altri meno, in questo caso è un ottimo suono ma che non ci convince del tutto, troppo “uniformato” a sonorità standard (poi è pur sempre una questione di orecchie), ultima considerazione, i brani, ad eccezione della bellissima Disclose (sulla quale ci ritorneremo) i restanti tre sono strumentali, compositivamente buoni ma accompagnati da un testo avrebbero assunto tutto un altro spessore. E partiamo proprio da Disclose cantata a due voci dal bravo Vincenzo Giugliano (qui interpretazione e voce perfette) e la timbrica più eterea dell’altrettanto brava Luna Malaguti, sonorità che rimandano sia agli Interpol che agli Editors, ritmica secca, belle linee di basso ed i malinconici ricami armonici delle chitarre, un pezzo autunnale che non sfigurerebbe in una qualche classifica internazionale; si prosegue con l’incedere più cupo di Escher, un lento crescendo dai toni drammatici che esploderà splendidamente nella seconda parte liberando tutto il “peso” che sembra portarsi dentro. C’è Trocadero dalle eleganti atmosfere synth pop piacevoli e un pò ruffiane, un brano riuscito e con un inaspettato refrain in stile “italo-disco”, a non convincerci è invece l’ultima traccia, Rococò, compositivamente interessante ma anche “eccessiva” mentre qui preferiamo il naturale scorrere (ma è pur sempre una questione di gusti). Non c’è molto altro da aggiungere, di solito da cosa nasce cosa ma in questo caso non lo sappiamo, per il momento se ne avete la possibilità dategli un ascolto e poi valuterete. Da Roots! è tutto e come sempre buon ascolto (qui o qui).