Roots n.25 novembre 2020 Joy Division – Unknown Plesures – Closer

Joy Division - Unknown Pleasures
Joy Division - Closer

Joy Division (Una possibile lettura del dolore) – Unknown Pleasures – Closer

by Simone Rossetti

Prologo

Se non conoscete i Joy Division questo è il momento, se siete capitati nel posto giusto non lo sappiamo (non abbiamo questa presunzione), quel poco di certezza che ci anima è che proveremo a farlo al nostro meglio e sempre molto umilmente. Togliamoci subito il sassolino dalla scarpa, i Joy Division non erano Ian Curtis ma erano anche Ian Curtis, su di loro ed in particolar modo su di lui è stato raccontato, scritto e filmato praticamente di tutto (a sproposito e meno); di questo tutto è meglio dubitare, la musica ed i suoi testi bastano ed avanzano, sono quanto di più reale ci possa essere per una lettura di questo dolore. I Joy Division ebbero vita breve, come breve fu la vita concessa ad Ian Curtis, due album, due capolavori estremi, poi un epilogo. C’è anche un seguito, i restanti membri del gruppo (su decisione presa “prima” e di comune accordo) cambieranno il nome in New Order (del loro Movement ne parliamo qui ), il resto è storia “presente” quello che invece resta è un passato. Unknown Pleasures e Closer sono due album difficili, ostici, chiusi, a tratti impenetrabili, sono stati (sono e saranno) un punto di riferimento per tutto il post-punk, ma c’è dell’altro, sono soprattutto due album (a loro modo “diversi”) che ci raccontano di un dolore “in divenire”, della sua insostenibilità e ineluttabilità; a noi di Roots!, come avrete intuito, delle etichette ce ne frega il giusto e di giudicare ancora meno; la vita e le scelte nel suo scorrere, giuste o sbagliate che siano, sono e restano strettamente personali, la musica, per fortuna, va oltre le nostre umane miserie. Un’ultima considerazione, il mio (nostro) timore nell’approcciarmi a questi due album era quello di non riuscire ad evitare la solita recensione tecnico-descrittiva fatta di date, accadimenti, brano migliore, brano peggiore e via discorrendo, navighiamo a braccio proprio come nella vita e nella morte.

Joy Division – Unknown Pleasures

Capitolo 6: “I’ve been waiting for a guide to come and take me by the hand, could these sensations make me feel the pleasures of a normal man” (da Disorder); non arriverà nessuna guida ma solo un lento ed invitabile sprofondare verso una notte dalla quale indietro non sarà possibile tornare, è il 18 maggio del 1980. Capitolo 2: Solo un anno prima i Joy Division erano entrati in studio per registrare questo Unknown Pleasures, il loro album di debutto (aprile 1979). Un suono freddo, metallico, distante e disorientante; cupa è la musica ma cupi sono soprattutto i testi, un labirinto dell’animo umano, delle sue angosce, delle sue paure, delle sue follie nascoste sotto il labile velo di un quotidiano scorrere. I Joy Division sono la danza tribale di Interzone, la chitarra metallica e tagliente di Bernard Sumner, sono la bellezza estatica di New Dawn Fades con la voce di Curtis che si perde in un oscurità senza fine “Me, see me in this time, hoping for something else”. Capitolo 0: post-punk, c’è scritto un pò ovunque, come se catalogare un qualcosa servisse meglio a capirlo, a spiegarlo, diciamolo, è post solo perchè è venuto dopo (in realtà quasi in contemporanea)  ma di punk non ha nulla, non ne ha l’approccio né l’attitudine, né tantomeno il suono; la musica dei Joy Division è una stanza vuota, un riverbero dentro la notte, una materia che la “normalità” non riconosce (non vuole), “To the centre of the city where all roads, meet looking for you. To the depths of the ocean, where all hopes sank searching for you. Moving through the silence without motion, waiting for you. In a room with no window in the corner, i found truth” (da Shadowplay), sono le linee di basso di Peter Hook a scandire il tempo di questa musica, ossessive, opprimenti, precise, se un’anima è da ricercare nei testi un’altra è da ricercare qui, in questo suo pulsare, profondo, ermetico, enigmatico; Capitolo 1: I Joy division erano originari di Manchester, siamo nel 1977, un momento particolare per l’Inghilterra attraversata dalla nascente ondata punk, si chiamavano ancora Warsaw ed ebbero il tempo di pubblicare un primo EP, An Ideal For Living, il cambio di nome arrivò nel 1978; cosa vuol dire Joy Division è semplice da raccontare ed impossibile da spiegare, indicava le donne che erano destinate al piacere dei soldati tedeschi nei lager nazisti, c’è poco altro da aggiungere; “And she turned to me, and took me by the hand, and said  i’ve lost control again, and how i’ll never know just why” (da She’s Lost Control); i Joy Division sono la metrica di Stephen Morris, scarna, secca, aliena, dimenticatevi completamente la classica batteria rock o punk, qui siamo proiettati all’interno di una frattura dell’anima, refrattaria a qualsiasi luce ma pulsante di vita propria. Capitolo 7: Control uscito nel 2007 e diretto da Anton Corbijn, è un bel film, no, è un biopic (così vengono chiamati oggi i film biografici) ben realizzato ma che resta comunque un prodotto di pura finzione buono solo per il palinsesto televisivo, un film onesto ma niente di più; il dolore non risiede qui. I Remember Nothing, c’è la voce di Ian Curtis, atonale, “sgraziata”, poetica, malinconica, desolante, si respira (e si ascolta) a fatica. Unknown Pleasures è tutto questo, può essere disturbante e difficile da sopportare ma anche terribilmente affascinante, malinconico come un triste presagio, sincero; ma siamo solo all’inizio, seguirà Closer, non da meno, sicuramente l’ultimo. Buon ascolto (qui o qui).



Joy Division – Closer

Capitolo 5: Il tempo necessario per completare le registrazioni dell’album e di fare i preparativi per l’imminente tour negli Stati Uniti che tutto imploderà, quel buco nero ormai divenuto insostenibile se lo inghiottirà per sempre; le cose accadono; Capitolo 4bis: Quando sarà pubblicato questo Closer (luglio 1980) Ian Curtis non ci sarà più, i Joy Division non esisteranno più; “You’ll see the horrors of a faraway place. Meet the architects of law face to face. See mass murder on a scale you’ve never seen. And all the ones who try hard to succeed. This is the way, step inside. This is the way, step inside. This is the way, step inside. This is the way, step inside” (da Atrocity Exhibition). Capitolo 6bis: Ian Curtis farà la sua scelta il 18 maggio dello stesso anno, soffriva da tempo di epilessia (se non è curabile oggi figuriamoci in quegli anni), a questa malattia seguì la depressione (una forma dicono ma la sostanza non cambia), seguì anche una scelta, l’ultima. Chi era Ian Curtis? Era la voce (e co-scrittore) dei testi dei Joy Division, guardando alle cronache della sua vita privata era anche altro ma non siamo qui per giudicare o commentare le vite degli altri, sono scelte. Capitolo 4: Closer ha un suono, se possibile, ancora più oscuro, spigoloso, duro, inaccessibile; se sia presagio di un qualcosa non lo sappiamo, possiamo solo intuirlo, è una zona d’ombra dove oltre non sarà possibile spingersi. “My view stretches out from the fence to the wall. No words could explain, no actions determine. Just watching the trees and the leaves as they fall” (da The Eternal), non aspettatevi altro, non ci sono risposte, tutto inesorabilmente si allontana, dolcemente, ineluttabilmente verso un oblio. Capitolo 4bis: Siamo in Liguria, a Genova, nel cimitero di Staglieno, qui si trova la tomba della famiglia Appiani, la stessa tomba che sarà scelta dai restanti membri del gruppo come artwork per questo Closer, sarà la separazione definitiva da Ian Curtis e dai Joy Division. “This is the crisis I knew had to come, Destroying the balance I’d kept, Turning around to the next set of lives, Wondering what will come next” (da Passover); I Joy Division sono quella bellissima litania oscura di Decades (brano posto a chiusura dell’album), una traccia diversa da tutte le altre, è una stanza vuota illuminata solo da una fredda luce al neon, uno spazio dove non è dato entrare, affascinante e inquietante al tempo stesso, quello che possiamo intravedere non è ancora comprensibile. Buon ascolto (qui o qui).

Epilogo 

Capitolo 3: Siamo nel marzo del 1980 quando verrà registrato (poi pubblicato postumo nel giugno dello stesso anno) il singolo Love Will Tear Us Apart, uno fra i brani più famosi (ironia della sorte o del mercato) dei Joy Division ma non è questo che conta e ci interessa; è un brano (bellissimo) composto in un momento particolare della vita di Ian Curtis, parla di assenze e di mancanze, di un guardarsi indietro e dentro, di un conflitto interiore che avrà un suo peso determinante (il gossip lo lasciamo ad altri), è anche l’ultimo brano che resta, poi il nulla. “Why is the bedroom so cold? You’ve turned away on your side. Is my timing that flawed? Our respect runs so dry. Yet there’s still this appeal. That we’ve kept through our lives. But love, love will tear us apart again. Love, love will tear us apart again”.

Capitolo 5bis: Ceremony uscirà come primo singolo a nome New Order (con alla voce Bernard Sumner) il 6 marzo del 1981, in realtà scritto e composto dai Joy Division durante gli ultimi giorni di vita di Ian Curtis, ne esistono diverse versioni, una live a nome Joy Division e quella registrata in studio a nome New Order, ma sono informazioni di servizio, la “verità”, forse (come sempre) sta nel suo testo, fra un passato, un presente ed un futuro già scritto, non indolore. “Avenues all lined with trees, Picture me and then you start watching, Watching forever, watching forever, Everything, let it be so, For everything, let it be so, Everything, let it be so

I capitoli cercano di seguire, nel possibile, gli accadimenti degli eventi.

Fine.

Il tempo restituirà le parole per capire. Dedicato a F.

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