Roots! n.230 luglio 2021 John Mayer

John Mayer-Sob Rock

Autore: John Mayer

Titolo: Sob Rock

Anno: 2021

Genere: Rock   

Componenti: John Mayer (chitarre, voce), Greg Phillinganes (tastiere), Aron Sterling (percussioni), Sean Hurley e Pino Palladino (basso) ed altri.

Città: London, New York, Hollywood

Etichetta: Columbia

Formato: Vinile, CD, digitale

Sito web: John Mayer

Tracks: 1. Last train home, 2. Shouldn’t it matter but it does, 3. New light, 4. Why you no love me, 5. Wild blue, 6. Shot in the dark, 7. I guess I just feel like, 8. Til the right one comes, 9. Carry me away, 10. All I want is to be with you.  

John Mayer-Sob Rock

by Alessio Impronta

E’ un musicista poliedrico, John Mayer. Chitarrista, ottimo chitarrista, dalle solide radici blues e testa ben piantata nel pop. Esordio discografico agli inizi degli anni 2000 e poi l’esplosione nel 2006 con il best seller Continuum. Chi non ha mai ascoltato i passaggi radio di mega hit come Waiting on a world to change o Gravity? Nella sua discografia si passa da lavori di buon pop, con schitarrate Claptoniane, a produzioni più mature, di un artista che si mette in crisi e dai passaggi personali della vita trae qualcosa da mettere in musica. Born And Raised del 2012 va in tale direzione, un pop adulto, maturo con pezzi che rivelano un autore che va ben oltre il successo da classifica e la gloria personale. E dal 2015 si è unito a Bob Weir, Mickey Hart e Bill Kreutzmann (nonché ad Oteil Burbridge e Jeff Chimenti) nell’avventura dei Dead & Company, portando in giro 30 anni di dischi ed avventure musicali dei Grateful Dead, dovendo oltretutto riempire le larghissime e scomode scarpe di Jerry Garcia, lavoro che Mayer sta portando avanti con personalità e gusto e che gli ha sicuramente dato nuove prospettive musicali: impossibile toccare il materiale dei Dead senza rimanere colpiti e trasformati. E si arriva a questo Sob Rock, con una premessa: mai fermarsi al primo ascolto. Tenetevi forte voi che avete più di 40 anni ed avete passato a metà anni 80 minuti e minuti davanti alla tv (vi ricordate? Video Music, poi MTV, Deejay Television…) sperando nel prossimo passaggio dei Dire Straits, di Clapton, dei Fleetwood Mac e compagnia bella. Ebbene, in questo disco Mayer si tuffa “a bomba” negli anni 80; il primo indizio? La produzione di Don Was che in quegli anni era un musicista fra i più attivi e raccoglieva grandi successi coi suoi Was (not Was) “everybody walks the dinosaur…” e la presenza di musicisti come Pino Palladino (Basso) e Greg Phillinganes (tastiere), maestri che hanno lasciato la loro impronta in tantissime produzioni negli anni a cui ci stiamo riferendo. Il disco si apre con Last Train Home che potrebbe essere uscita da August di Eric Clapton come da Toto IV, un pezzo ritmato che prende subito l’ascoltatore e fissa la dichiarazione d’intenti del disco. Dichiarazione che prosegue nei pezzi immediatamente successivi che vanno a fare riferimenti al Phil Collins solista presente come un convitato di pietra su tutto il disco, Shouldn’t It Matter…potrebbe essere uscita da No Jacket Required senza colpo ferire e ad una serie di grandissimi lavori, perché in realtà le radici di questo lavoro vanno ricercate oltre i nomi menzionati. La sezione ritmica basso/batteria ad esempio prende a piene mani dai Fleetwood Mac di Tango In The Night con patterns e sonorità che, se uno non andasse a leggere i credits, farebbero pensare ad una collaborazione con Mick Fleetwood e John McVie. La chitarra stessa, qua e la’ durante il disco, spesso fa pensare ad un omaggio a Lindsay Buckingham che in fin dei conti è un altro padrino di questo disco, musicista anch’egli con radici blues e pensiero rivolto al pop da radio. Il disco scorre interessante con due picchi, primo pezzo a parte: Wild Blue, pezzo molto “alla Paul Young” (ricordate Come Back And Stay ?) con interventi di chitarra alla Mark Knopfler. Un altro riferimento fondamentale di questa opera è il Don Henley di Building The Perfect Beast e The End Of The Innocence così come anche i pezzi di Brent Mydland coi succitati Dead: andarsi a recuperare In The Dark e Built To Last, sicuramente Mayer ha ben presenti canzoni come Tons Of Steel o Blow Away. Diciamo anche che se il pensiero è rivolto agli anni 80, la produzione è impeccabilmente moderna; suoni studiatissimi, senza sbavature ed uso molto sapiente dell’autotune, qui presente non per correggere imperfezioni (Mayer non è Otis Redding ma non ha bisogno di trucchetti) ma come elemento integrante della tecnologia per creare un sound, Shot In The Dark ne è il miglior esempio. L’altro picco del disco anzi, a parere di chi scrive è IL picco del disco è I Guess I Just Feel Like; qui ci dobbiamo riportare a quello che fu il grande ritorno sulle scene di Stevie Winwood con due album strepitosi, Back In The High Life e Roll With It, Mayer rotte le esitazioni si lascia andare ad un cantato molto più libero, ne esce un pezzo intenso con un solo finale con sonorità da mini moog che Winwood usava moltissimo in quegli anni. Tirando le somme: è un buon lavoro? Sì, lo è. Non un capolavoro ed oltretutto è rivolto ad un target ben preciso di pubblico, che ha già nelle orecchie certe sonorità. E questo è ben chiaro fin dalla copertina…guardare per credere, il riferimento ad American Gigolo e Miami Vice è netto. Del resto, il banner pubblicitario del disco recita “New music done the old way”. Mayer poi ha nella voce un punto non voglio dire debole, ma ancora non troppo saldo, però vale la pena di comprare questo disco ed ascoltarlo più volte: la seconda da’ già un’impressione molto diversa dalla prima. Insomma, va in crescita dopo qualche passaggio e questo è sinonimo di qualità e tentativo comunque di stimolare l’ascoltatore, tratti che ad oggi non devono essere mai trascurati. Buon ascolto! (qui o qui).

 

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