
John Coltrane-A Love Supreme
by Simone Rossetti
Mio nonno era solito ripetere che la vita “gli’è tutto un tribolare”; mio nonno non era ovviamente John Coltrane (era un contadino attaccato alla terra e fatto della stessa terra) ma se un giorno gli fosse venuto in mente di scrivere un album jazz probabilmente sarebbe stato questo A Love Supreme; qui c’è tutto il tribolare della vita nel suo scorrere, un tribolare che è anche speranza, consapevolezza, preghiera, la presenza di una entità spirituale superiore non necessariamente legata ad una qualche religione, la ricerca di quel filo invisibile che tra vita e morte ci accomuna tutti in un flusso ciclico. Mio nonno, nelle sue tribolazioni, questo lo aveva capito bene solo che al posto di un sax aveva una zappa (una differenza comunque non da poco). Non abbiamo competenze tecniche tali da avere la presunzione di poter parlare di musica jazz (questo lo lasciamo a quelli bravi) ma ci proviamo lo stesso, a modo nostro e con molta umilà; la musica, c’è la musica e la Musica, quella con la m maiuscola, quella che solo pochi possono permettersi, quella che si eleva a forma d’arte, quella che trascende dalla musica stessa per farsi respiro universale, non importa quanto possa essere “tecnica”, complicata, strutturata, costruita su schemi e tempi, è e resta semplice respiro. John Coltrane è stato (ma lo è ancora) uno fra i più grandi sassofonisti della storia del jazz (ma questo lo hanno già detto e scritto tutti), era anche più di un sassofonista, era un interprete della memoria “black” ma sempre proteso verso un suono che andasse al di la di un semplice colore, di una idea di “razza”, di un genere o di un etichetta, la musica era solo un tramite; Coltrane suonava jazz ma poteva benissimo suonare black metal che sarebbe stato probabilmente lo stesso. A Love Supreme non è arrivato a caso da un giorno all’altro, è stato neceaario un percorso iniziato molti anni prima, praticamente dal principio, un percorso non sempre facile ma senza mai perdere di vista quella “bussola” dell’anima che è la musica; dal rhythm and blues alle orchestre jazz, passando per il be-bop, l’hard-bop, il jazz modale fino alle prime intuizioni free-jazz, questo A Love Supreme arriverà proprio al termine di questo percorso ed al suo “percepire” un nuovo inizio; siamo nel 1964, Coltrane è affiancato dal suo ormai rodato gruppo, Mc Coy Tyner al piano, Elvin Jones alla batteria e Jimmy Garrison al contrabbasso, tutti grandissimi musicisti la cui intesa ormai consolidata negli anni sarà fondamentale alla riuscita di questo album, fortemente voluto, ambizioso (ambizioso come intenti e musicalmente), è vero, siamo ancora in territori propri di un jazz modale ma l’attitudine (anche a livello compositivo e anche se non completamente compiuta) è già improntata al free. Si tratta di una vera e propria suite suddivisa in quattro parti (brani o temi), i titoli sono fortemente indicativi, Acknowledgement (consapevolezza, presa di coscienza), Resolution (risoluzione, riconoscimento), Pursuance (conseguimento) e Psalm (salmo, preghiera); quasi niente di scritto, Coltrane aveva tutto in testa, gli altri del gruppo dovevano “solo” interagire e trovare sbocchi creativi, è una sensazione che si riesce a percepire, anche il sax tenore di Coltrane a tratti stenta, si sente che segue un idea, un’intuizione ma deve essere trovata attraverso le note e il suono (ci riuscirà sempre e in modo sublime); tutto questo “sentire” è quanto mai affascinante, intenso, ogni singola nota è uno spingersi oltre, una ricerca verso l’assoluto. La prima parte, Acknowledgement, ha un breve intro con un colpo di gong e poche note di sax, ma più che un introduzione è un richiamo, un invito ad unirsi e a partecipare, un pò come potrebbe essere per una funzione religiosa (ed in parte lo era), il tema portante sarà introdotto invece dal basso di Garrison (un giro di contrabbasso semplice quanto essenziale che entrerà di diritto nella storia della musica), poi attacca il sax di Coltrane che per il momento non segue il tema principale ma si limita a improvvisarci sopra seguendo solo la tonalità del brano mentre il piano di Tyner lo accompagna sullo sfondo in modo abbastanza dimesso, il brano intanto cresce piano piano sostenuto dal lavoro sui piatti della batteria di Elvin Jones, ma ecco che sul finale Coltrane riprende in mano il “tema” portandolo in su e in giù su varie tonalità fino all’esplosivo canto di Coltrane che come un mantra recita “A love supreme, a love supreme, a love supreme”, e qui va detto si raggiunge la perfezione totale, Coltrane arriva dove forse nessun altro era mai arrivato prima, almeno con una tale intensità emotiva, lo scopo è raggiunto, tutto il tribolare della vita assume “qui e ora” un suo senso. Resolution è la seconda parte, introdotta dal contrabbasso di Garrison e da tutto il gruppo che lo segue a ruota, qui Coltrane ha da subito le idee ben chiare, l’attacco che riprenderà più volte nel corso della composizione è potente, preciso e il suo sviluppo non è da meno, c’è spazio anche per Mc Coy Tyner e il suo piano che può finalmente lanciarsi all’inseguimento di Coltrane, il suo stile è abbastanza “classico”, cioè, è il suo stile, preciso e fantasioso ma senza osare più di tanto, c’è anche da dire che tutto il brano è piuttosto formale, nel senso che segue un andamento ormai consolidato nel jazz modale ma ovviamente è il sax di Coltrane a trascinare tutti e sul finale a riprendere il tema ascoltato all’inizio e a portarlo su vette altissime; anche Persuance si muove su coordinate abbastanza classiche, questa volta è introdotta da un lungo assolo alla batteria di Jones sulla cui bravura c’è ben poco da dire, segue il sax di Coltrane con un bel tema che poi lascia spazio alle note del piano suonate con velocità, precisione e sempre nel loro inconfondibile stile, il finale invece è lasciato alle corde del contrabbasso, Garrison ha un approccio molto diverso rispetto a Mc Coy Tyner, più aperto, più malleabile e si percepisce per come affronta il brano, senza gerarchie, centri tonali, tempo, solo intuizione ed anima; si chiude con l’ultima parte, Psalm (una poesia/ringraziamento/preghiera scritta da Coltrane e riportata all’interno dell’album) tutta lasciata alle note del sax (gli altri si limiteranno ad accompagnarlo) che finalmente può spaziare libero ben conscio di aver raggiunto lo scopo, è un incedere lento, fragile, stentoreo, scarno, immenso, appassionato e tutto quanto di bello (inteso come bellezza suprema) vi può venire in mente. Siamo così arrivati alla fine, speriamo in cuor nostro che non sia stata una lettura troppo faticosa (probabilmente si ma l’ascolto andrà molto meglio), non sappiamo neanche se ne sia valsa la pena ma avere la possibilità di avvicinarsi per la prima volta a quest’opera è già di per sé un dono, un esperienza unica, preziosa, una luce che vi inonderà l’anima rischiarando un pò il buio di questi tempi. (qui o qui ma se vi capita di trovare il vinile od il CD non esitate).
“Words, sounds, speech, men, memory, throughts. Fears and emotions, time, all related.”
John Coltrane