Roots! n.72 gennaio 2021 Guns N’ Roses – Appetite For Destruction

Guns N' Roses-Appetite For Destruction

Guns N’ Roses-Appetite For Destruction

by Simone Rossetti

Era il mese di luglio del 1987 quando i Guns N’ Roses rilasciarono questo Appetite For Destruction (Geffen Records) il loro album di debutto, da quel giorno ha venduto qualcosa come circa 30 milioni di copie ed è stato inserito dalla blasonata rivista Rolling Stone alla posizione numero 62 nella lista dei 500 migliori album di tutti i tempi, non solo, è considerato uno fra gli abum più importanti ed influenti della storia del rock, insomma, mica noccioline, ma siete su Roots! dove niente è scontato e dove qualche domanda ce la poniamo (e ve la poniamo); idolatrati da moltissimi ma diciamolo francamente, insopportabili anche per molti altri, la verità probabilmente sta nel mezzo ma non stiamo parlando dei soliti ed indiscutibili gusti personali. Per chi non lo sapesse ai tempi di questo Appetite i Guns (formatisi in quel di Los Angeles nel 1985) erano Axl Rose (voce), Slash (chitarra), Izzy Stradlin (chitarra), Duff McKagan (basso) e Steven Adler (batteria), detto questo lasciate perdere i discutibili “personaggi da gossip”, qui parliamo di musica e di una cosa gli va dato atto, ci sapevano fare (che poi fossero in parte “costruiti” o pompati ad hoc sarà probabilmente vero ma è un altro discorso), la domanda che però ci poniamo è un altra ed è il motivo per la quale recensiamo questo album, se Appetite For Destruction sia veramente tutta questa grandezza di album o semplicemente un buon album, o magari solo un mediocre album; la risposta è nella sua musica, nei suo brani; prima però è bene inquadrare il periodo “storico”, la seconda metà degli anni 80 era dominata dall’hair metal (o glam metal), un genere che del classico metal aveva ben poco, era più un hard rock con sonorità molto radiofoniche e di facile presa (un pop metal), i Guns si distanziarono da queste sonorità per un approccio più “punk” (non come attitudine), alla fin fine il loro era un semplice rock stradaiolo che aveva poco o nulla da spartire con il classico hard rock o con il vero metal, non solo, l’immagine di fighetti e maledetti fece il resto (e avrebbe continuato a farlo fino ai giorni nostri ed immaginiamo che lo farà anche oltre). Fuori i nomi! Ed in questo caso è necessario farli, queste sono le band che andavano per la maggiore in quel periodo, Motley Crue, Def Leppard, Cinderella, Whitesnake, Dokken, Aerosmith, Bon Jovi, la lista sarebbe lunga ma noi ci fermiamo qui, ad ogni modo questi erano i gruppi (hair metal, più o meno radiofonici) che scalavano le classifiche nella metà degli anni 80 ed ora veniamo ai brani contenuti in questo lavoro; si parte sulle note punk’n roll di Welcome To The Jungle, un pezzo ben interpretato da Axl Rose e con un refrain di buona presa, metteteci anche una ritmica bella sostenuta (in un classico rock’n roll) con apertutre appunto a ritmi “jungle” ed un buon solo di Slash a condire il tutto ed il gioco è fatto; ora, onestamente, o questo è il primo brano rock che avete ascoltato nella vostra vita o qualcosa non torna, un pezzo buono quanto volete ma siamo comunque nella mediocrità (per non paragonarlo poi ad altri classici del passato), a seguire It’s So Easy già più grezza e ruvida, più credibile (anche se non manca il “ponte” più soft), un buon pezzo ma niente di imprescindibile, meglio Nightrain un tirato rock polveroso e adrenalinico come si deve ma niente di più, sulle stesse sonorità si muove Out Ta Get Me, pezzo che potrebbe ricordare gli AC/DC ma fatto dai cugini minori; si passa a Mr. Brownstone che almeno è interessante, un pezzo sporcato di blues e garage con la sei corde di Slash che fa effettivamente la differenza, non è un capolavoro ma non sfigura, e si alza l’asticella con Paradise City, quel pezzo che molti dei gruppi sopra citati avrebbero voluto scrivere ma non lo hanno mai fatto, intro accattivante dai sapori soul-gospel poi un lento crescendo fino ai potenti riff che daranno il via al brano vero e proprio, un refrain contagioso che spacca in due per perfezione armonica mentre tutto scorre con una naturalezza da manuale fino al suo epilogo, ecco, questo è quello che si potrebbe definire un bel brano, non un capolavoro ma con quel qualcosa in più che fa la differenza (ed al di là dei gusti personali). Segue My Michelle, un buon punk’n roll ma siamo comunque sul filo della sufficienza, così come in Think About You, un rock’n roll melodicamente buono ma fin troppo scontato; pausa, giusto il tempo per anticiparvi la prossima traccia, quella Sweet Child O’Mine che sta ai Guns N’ Roses come Sweet Home Alabama sta ai Lynyrd Skynyrd (paragone che non ci permetteremmo mai e poi mai di fare ma consentitecelo solo per questa volta), un intro che farà (nel bene e nel male) la storia del rock (e dei suoi fighetti), un capolavoro di Slash che qui sfiorerà (o toccherà) il paradiso, poi parte il brano vero e proprio, velatamente malinconico e con un grande prova vocale di Axle Rose ma sarà il solo del solito Slash a fare la differenza e qui c’è ben poco da dire ma solo da togliersi il cappello; facilmente dimenticabile la successiva You’re Crazy mentre andrà un pò meglio con Anything Goes dalle sfumature blues ma più o meno il livello è quello, a chiudere l’album la lunga Rocket Queen, strutturalmente più complessa delle precedenti ma che si risolverà facilmente in un orecchiabile refrain e niente di più. Siamo arrivati così anche alla fine, paragonare i Guns a gruppi come Led Zeppelin, Iron Maiden, Venom o anche agli stessi Def Leppard non sarebbe giusto (musicalmente parlando ma anche temporalmente), questo Appetite For Destruction è un buon album, ci sono almeno un paio di grandi pezzi ma per il resto si viaggia sul filo della mediocrità, metteteci pure qualcosa in più ma la sostanza non cambia ed oltre ad un “buono” quest’album non lo merita (2 grandi pezzi, per quanto grandi, non bastano a fare un grande album), riguardo all’immaginario collettivo invece è un’altra storia, i Guns resteranno per sempre lì, incensati ed idolatrati al di là del trascorrere del tempo e della nostra memoria, perchè alla fin fine sono quanto di più rock (finto?) ci possa essere ma un rock che piace e che tutto sommato rassicura ed evidentemente se lo meritano, così va il mondo. Precisazione, si cerca sempre, nel possibile, di andare oltre i propri gusti personali e vedere le cose da un punto di vista oggettivo, qualche volta riesce meglio, altre peggio, l’importante è un confrontarsi onestamente. Buon ascolto. (qui o qui)

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