

George Adams Quintet – Paradise Space Shuttle / George Adams Don Pullen Quartet – Life Line
by Simone Rossetti
Aspettate a dire che non vi piace il jazz, potreste anche ricredervi. No, non vogliamo convincervi a farvi mangiare per forza qualcosa che giustamente può non essere di vostro gradimento ma semplicemente portarvi ad un “confronto” con una musica che sebbene sempre di “jazz” si tratti vi sorprenderà (speriamo) per la sua musicalità e bellezza. George Adams, sassofonista (principalmente) nato in quel di Covington, Georgia nell’aprile del 1940 e prematuramente scomparso nel 1992, dopo aver suonato con musicisti del calibro di Art Blakey, Charles Mingus, McCoy Tyner inizierà un lungo sodalizio artistico al fianco del pianista Don Pullen ed il loro Quartet. Paradise Space Shuttle del 1979 e Life Line del 1981 in quartetto insieme a Pullen (entrambi editi per la Timeless Records); due album quasi complementari, entrambi ricchi di quella “musicalità” che sa farsi respiro e gioia (si, avete letto bene, gioia in un fottuto mondo), una “voce” (quella di Adams, del suo sax) molto vicina per impeto ed irruenza a quella di un Coltrane o di un Albert Ayler ma capace anche di un “soffio” più morbido (per capirsi alla Ben Webster), un jazz “diverso”, quasi pop (in realtà ben altro), spumeggiante, malinconico, intenso, dove spiritual, blues, afro ed echi fusion andranno a fondersi in un “tutto” pulsante vita. Il primo, Paradise Space Shuttle, qui con Ron Burton al piano, Don Pate al basso, Al Foster alla batteria e Azzedin Weston alle percussioni; e si parte con Intentions, un grande tema, arioso, fluente, poi di potenza ma senza perdere quell’orecchiabilià che fa sempre piacere, a seguire una ballad immensa tutta lasciata al sax di Adams Send In The Clowns (a firma Stephen Sondheim), tanto Coltrane, tantissima classe. Metamorphosis For Mingus altro grande pezzo, potente, lirico, ritmica devastante e se la titletrack potrà sembrarvi più ostica (fra territori free e blues), motivo per il quale non ve la consigliamo “a freddo” ma magari ritornateci su in un secondo momento, passate direttamente alle atmosfere “latin” di City Of Peace che vi sapranno accompagnare in quei giorni dove il tempo sembra non avere uno scorrere od alla conclusiva Funk-A-Ronnie Peacock uno splendido afro-funky-jazz-fusion al quale Adams presterà la sua naturale (e bellissima) voce. E siamo al 1981, Life Line, questa volta in quartetto con Don Pullen al piano, Cameron Brown al basso e Dannie Richmond alla batteria, tanta roba; sempre ed ancora jazz ma attraversato da una vena soul che vi delizierà le orecchie e l’anima, la traccia in apertura sarà una lanciatissima The Great Escape Or Run John Henry Run fra il modale ed il bebop ma la vera sorpresa arriverà con la successiva Seriously Speaking pregna di blues, di soul, di jazz ma non vogliamo anticiparvi nulla, ascoltatela (tutta) e poi ne riparliamo. Soft Seas tornerà a muoversi su ritmiche “latin jazz” con un tema splendido e ricco di variazioni armoniche e poi Nature’s Children con la voce di Adams che qui si farà “altro” e che pezzo, che magia; si conclude con Protection nella migliore tradizione delle prime marching bands di New Orleans ed una Coltraniana Newcomer; Seven Years Later, intensa e delicata e (cosa che capirete solo ad un ascolto) suonata da musicisti che dire grandi è dire poco. Sia che amiate il jazz o meno, il senso è questo, storie e dischi che meritano di essere “raccontati”, ricordati, sottratti ad un inevitabile oblio; George Adams non è (non era) un Coltrane od un Miles Davis, non ne aveva lo “spessore mistico” né lo si può considerare un “innovatore” in senso classico ma sarà proprio quel suo essere così “terreno”, “umano” (il suo sax) a renderlo “speciale”; Amore, Tribolazione (la vita è tutto un “tribolare”), Gioia, quella necessaria ad un confrontarsi quotidiano in tutte le sue (e nostre) miserie, questa è la sua Musica.
In ricordo. Da Roots! è tutto e come sempre buon ascolto.