Roots! n.537 settembre 2022 Estrema Leva Artistica Musicale ‘900 – Radio Estrema

Estrema Leva Artistica Musicale '900 - Radio Estrema

Estrema Leva Artistica Musicale ’900  – Radio Estrema

(2022, autoprodotto)

by Tommaso Salvini

In un’epoca adagiata su parametri mediocri e dove il concetto di spettacolo riconduce al semplice culto dell’immagine/feticcio, fa piacere sapere che gli Estrema Leva Artistica Musicale ‘900 son vivi, vegeti e lottano insieme a noi. Per pura reazione allestiscono uno spettacolo che non è immagine o farsa, ma satira, cabaret, recitazione, stornello e beffa. Il gruppo di Urbino ci restituisce, in forma completa, quello che da troppo tempo ci manca: divertimento intelligente che è tale perché strutturato secondo idee ben precise, sia per quello che riguarda l’opinione politica che per quello che concerne la visione artistica. Il programma radiofonico (perché oltre che essere un disco questo è anche un programma radiofonico pirata) si struttura in questo modo: Gli ELAM ‘900 sono in furgone, in viaggio verso il loro prossimo concerto; stanno ascoltando Radio Normale, una stazione FM che va per la maggiore nella realtà futuribile inscenata in questo disco: una lunga sequela di disgrazie e tragedie viene elencata con tono sereno e distaccato, mentre l’annunciatore presenta l’infelice lista di cui sopra come “la normalità”: femminicidio, morti sul lavoro, “quattro bambini sono stati travolti da un camion, fortuna ha voluto che fossero figli di onesti lavoratori sottopagati”, crack finanziari fatti scontare ai contribuenti, pedofilia legalizzata…le sintonie vengono manomesse e Radio Estrema prende il posto di Radio Normale, soffocandone l’asfissiante normalità con una scarica di cantautorato, imitazioni di personaggi celebri (Jovanotti è uguale!!!), citazioni di un certo livello (quella da Guida Intergalattica Per Autostoppisti mi ha fatto ridere tantissimo), registrazioni sparse di interviste fatte a Frank Zappa, Barack Obama e Carmelo Bene manomesse e ricontestualizzate, incursioni violente a opera di sbirri scenografici, racconti assurdi di storie d’amore impossibili dove a mezzo del sesso, più che godere, si trova una sorta di redenzione in un rito catartico e profondamente pagano. Oltre ai racconti ci sono, ovviamente, anche le canzoni: gli ELAM ‘900 rinunciano a certe fughe post rock e neo folk (eccetto che nella suggestiva, conclusiva e definitiva Porta Il Vino) del precedente album e acuiscono i riferimenti al cantautorato italico, quasi a voler ricercare, in un periodo storico dove la capacità comunicativa è (quasi) tutto, un linguaggio immediatamente riconoscibile anche al pubblico meno avvezzo alla musica colta (cosa che qui c’è comunque, al netto del-lieve-cambiamento di direzione): canzoni più colorite e folkloristiche anziché folk, più inclini alla battuta di spirito e al gioco di parole: numeri spagnoleggianti arricchiti da un uso appropriato del grammelot (Radio Anarchia), swing asservito al verbo dei cantastorie per parlare di terzo mondisti in odore di Jova Beach Party, tra ipocrisie borghesi ed espropri culturali (Ballata Di Uno Straccione Intellettuale Dissidente): tutto si mescola in un calderone che sa di Dario Fo, Tunnel, Avanzi, quella capacità comune a Giorgio Gaber come ai Dead Kennedys, di riuscire a declinare la musica alle esigenze del testo. Tutto questo non faccia pensare ad una sindrome nostalgica: è solo la volontà di riappropriarsi di tutto quello che lo stillicidio intellettuale degli ultimi vent’anni ci ha portato via senza pietà. Usare la storia per affrontare il futuro. E, finché ci sono gli ELAM ’900 ad accompagnarmi io non ho paura perché mi intrattengono e mi fanno riflettere. Ci si potrebbe perdere nell’elencare tutte le bontà compositive della parte suonata e cantata di questo disco tanti sono i riferimenti presenti e la capacità di spaziare degli ELAM ‘900 e l’invito, ovviamente, è quello di farlo da soli, ma, visto che questo disco mi appassiona, voglio giusto farvi un piccolo Bignami: ci si sorprende e ci si soddisfa di fronte alla Trap di, appunto, Messico Trap City, una canzone che, di per sé, mette definitivamente il punto su di un genere vuoto e completamente inventato per mere speculazioni commerciali richiami alla nostra tradizione, sia di cantastorie che di delinquenti impuniti, si affacciano prepotentemente con Punkarrabbiniere (“ca-cca-carabiniere“ è un colpo di genio che avrebbe fatto invidia anche a Freak Antoni) e Canto Brigante; pezzi che richiamano entrambi a una tradizione fatta di stornelli, vino rosso e maledizioni al governo di turno: il vero grido della provincia verace e desiderosa di ubriacarsi di vita e passioni. Sul finale gli ELAM ‘900 esplodono in forma definitiva, non si tengono più e ci regalano, così come se nulla fosse, due pezzi di cantautorato geniale, unico, folle, terribilmente oltre: 1,2,3… sarebbe un pezzo da crooner se non fosse per un pianoforte impazzito, dissonante, ai limiti dell’avanguardia: prendete Paolo Conte, dategli una verniciata di Cammariere e aggiungeteci lo spirito di Mike Garson alle prese con Aladdin Sane di Bowie: ambienti fumosi e noir per menti contorte o, più semplicemente, in cerca di un punto di ingresso verso un’altra dimensione. E poi arriva Prendi Il Vino, un inno eterno per banditi in perenne fuga dalla legge, dall’ordine o solo da se stessi: un inno edonista agli amori impossibili, contrastati dalla natura, dalle istituzioni o dall’essere nati nell’epoca sbagliata. Un finale che strappa il cuore dalla gabbia toracica per condurlo chissà dove…Un disco che esce in perfetto orario, con i giusti riferimenti, le note e le parole perfette, a fronte di tempi aspri con elezioni imminenti annesse. Un piccolo resoconto da ascoltare per ricordare a noi stessi, non tanto chi siamo, ma cosa la nostra storia ci chiede di essere adesso, in questi istanti di smarrimento e totalmente privo di appigli. Mi verrebbe da dire agli ELAM ‘900 che sono bravi, ma forse è più giusto, onesto e corretto ringraziarli. GRAZIE. E da Roots! è tutto e come sempre buon ascolto (qui o qui).

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