
Eddie Floyd – Down To Earth
(1971, Stax Records)
by Luca Agozzino
Disco soul (a firma Eddie Floyd) infarcito di chitarra rock, a cominciare dalla timorata People Get Ready, cover degli Impressions, con un’apertura rock che sfocia prima nel soul per chiudere col funky, un pezzo che emana e fa respirare vastità musicale e la maestria di chi la sa maneggiare. Altro giro, altra cover; Linda Sue Dixon , originariamente dei Detroit Wheels, a suon di soul-rock impreziosito da violini grezzi, “distorti”, ci racconta di un trip da LSD e le sue visioni olistiche “You make me see things, other people can’t see / mi fai vedere cose, altre persone non possono vedere”; con My Mind Was Messed Around At The Time si passa ad un soul da dancefloor, con un ritmo non estremamente veloce ma incalzante mentre When The Sun Goes Down si apre con un mellow soul che vira sul blues e sembra andarsi spegnendo con un reiterato “come on, come on baby” e che invece ci regala un finale funk nella sua classica atmosfera “sudata”, “da struscio”; d’altronde “il sole sta calando“. Si riaccelera con l’apertura rock psichedelica di Salvation, i fiati vanno a fare da spartiacque verso un soul melodico con ritorni costanti di chitarra psichedelica che sarà il martellante tappeto di un finale con protagonisti ancora i fiati. I Only Have Eyes For You e Tears Of Joy sono le due ballate del disco, la prima è una cover di un brano composto per il musical Dames del ’34, nella seconda, verso la metà del brano, si fa notare un crescendo di fiati, piano e batteria che sfocia in un picco strumentale che rimanda all’immagine di un cavallo che nel mezzo di una tranquilla passeggiata comincia a dare segni di irrequietudine che si tramuteranno in un’impennata con tanto di nitrito per poi proseguire placidamente a camminare; chiudono le sonorità funky-rock punteggiate da momenti molto “acquosi” di Changing Love. Le virate e gli accavallamenti di genere che accompagnano l’intero lavoro fanno di Down To Earth, più che un disco, una di quelle che mi piace chiamare “esperienze musicali” capaci di trascinare, più che in un ascolto, in un viaggio che porta in un luogo dove si “fluisce” insieme alla musica anziché “subirla”, consumarla; un luogo perso da qualche parte nel tempo, dove lo “skip” non esiste, semplicemente perché non lo si cerca e dove solo pochi dischi, film e libri hanno il privilegio di abitare e la capacità di portarci. Da Roots! è tutto e come sempre buon ascolto (qui o qui).