Roots! n.392 marzo 2022 Donald Byrd band & voices – A New Perspective

Donald Byrd band & voices - A New Perspective

Donald Byrd band & voices – A New Perspective

(1964, Blue Note Records)

by Simone Rossetti

Per i più “avvezzi” alla musica jazz: lo sappiamo benissimo che probabilmente questo A New Perspective non è la punta più alta nella immensa discografia di Donald Byrd ma ne parliamo proprio per questo ed a buon “sentire” (e godere).

Per i meno avvezzi alla musica jazz: lasciate che questa Musica si faccia un tutt’uno con il vostro corpo, con la vostra anima, si faccia pensiero e voce, preghiera e speranza.

Donald Byrd (9 dicembre, 1932 – 4 febbraio, 2013) grande trombettista jazz di scuola hard bop alla quale resterà legato “come approccio ed attitudine” anche quando sul finire degli anni ’70 abbraccerà sonorità più elettriche e funky; no, forse non paragonabile ad un Miles Davis (come evoluzione stilistica) ma in quanto a livello compositivo tanto di cappello; Black Byrd del 1972 è considerato un pò all’unanimità (critica e pubblico) il suo personale capolavoro ma non sono da meno Fancy Free del 1970 così come Caricatures del 1976, vi starete chiedendo del perchè allora scegliere di proposito questo “minore” A New Perspective, ora ci arriviamo, per il momento gustatevi la formazione; Donald Byrd alla tromba, Hank Mobley al sax tenore, Herbie Hancock al piano, Kenny Burrel alla chitarra, Donald Best al vobrafono, Butch Warren al basso e Lex Humphries alla batteria e, badate bene, Coleridge-Taylor Perkinson alla direzione del coro (quattro uomini e quattro donne, non accreditati); formazione “inusuale”? Si e no, era il 1960 quando Max Roach compose quel classico che era Freedom Now Suite, un’opera profondamente “black”, radicale per quegli anni e di grande respiro, affine per certi versi a questo A New Perspective ma dove qui a cambiare sarà una percezione/contesto, non più (dipende da come lo si considera) un concept-album (come poteva esserlo Freedom Now Suite) ma una serie di composizioni dove il jazz si andrà a fondere con la tradizione “nera” degli spirituals e del gospel, un lavoro più introspettivo che di esplicita denuncia sociale ma ugualmente di potente rivendicazione delle proprie origini. Due brani a firma Duke Pearson, la conclusiva Chant ed una immensa Cristo Redentor, basterebbero queste due tracce a ri-definire un intero mondo, ovviamente così non sarà  ma voi godetene ed elevatevi al di sopra delle sue miserie e nefandezze a prescindere. C’è Elijah (questa come le restanti a firma Donald Byrd), una introduzione potente, cupa, ostinata per poi evolversi su un hard bop speziato di afro-cuban jazz di grande scuola (ascoltatevi il solo di Burrell, il vibrafono di Best e poi la tromba di Byrd proiettata verso un Davisiano oltre); si rallenta con il doo-wop di Beast Of Burden, elegante, splendido nel suo scorrere notturno, un “viaggio al termine della notte” da brivido ed infine l’incedere “hard” di The Black Disciple, forse troppo appesantita dai cori ma con il sax Coltraniano di Mobley che sarà miele per le vostre orecchie e spirito. Che altro aggiungere, siamo nel 2022, là fuori sembrano tutti in preda ad un’isteria collettiva della quale non se ne intravede una fine ma solo un peggio, allora non mollate, ritagliatevi un vostro spazio (e se possibile condividetelo) per quella bellezza ed armonia che oggi sembrano non avere più alcun senso né appartenerci ma che in un prossimo futuro potranno, forse, salvarci il culo ed essere l’occasione per creare qualcosa di migliore e giusto (l’importante è crederci e non arrendersi ad una quotidiana bestialità). Da Roots! è tutto e come sempre buon ascolto (qui o qui).

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