Roots! n.564 novembre 2022 Don Ellis – How Time Passes

Don Ellis - How Time Passes

Don Ellis – How Time Passes

(1960, Candid Records)

by Simone Rossetti

Quanti sono gli artisti che in ambito jazz si possono veramente definire “grandi”? Stiamo parlando di quelli che oltre ad un suonarlo gli hanno dedicato tutta una intera vita (qualche volta troppo breve) nel cercare di comprenderlo, espanderlo, un ri-mettersi continuamente in gioco secondo un proprio sentire anche non ortodosso….quanti?? Molti, in realtà pochissimi rispetto ad un “tutto”…mi viene in mente Coleman con la sua Armolodia, Miles Davis ed il suo spingersi sempre oltre, la musica sbilenca di Monk, la grandezza “visiva” di Charles Mingus, la spiritualità di Coltrane, le destrutturazioni di Steve Lacy, la grazia di un Bill Evans, le intuizioni (per l’epoca tanta roba) di Eric Dolphy….Lennie Tristano….e mi scuso se non cito tutti ma fra questi rientra sicuramente anche Don Ellis, trombettista e compositore “singolare” per senso ritmico ed un sentire la musica (il jazz) come qualcosa in continua evoluzione….sfortunato, perché la sorte o un destino se lo porteranno via presto, all’età di 44 anni per arresto cardiaco…..Resta la sua musica, ancora sorprendentemente bella, ancora sorprendentemente oltre….How Time Passes è il primo lavoro a suo nome registrato in due sessioni (fra il 4 ed il 5 ottobre) del 1960….insieme a lui gli immensi Jaki Byard al piano ed al sax alto, Ron Carter al basso e Charlie Persip alla batteria…e no, non è certo il suo album più “sperimentale”, forse nemmeno il suo “migliore” ma ci piaceva iniziare da un principio e col tempo seguirne un percorso. Strano album, nel senso che suona già “diverso”, uno stile ancora derivativo ma un sentire già personalissimo….Coleman, Dolphy, retaggi bebop, hardbop…..ed “azzardatamente” free come nella conclusiva Improvisational Suite #1, 22 minuti scarsi fra monologhi, dialoghi, reprise d’insieme fino all’esplosione ritmica finale….poi c’è Sallie quel capolavoro (perché lo è) che riesce a sfuggire ad un tutto (molto Davisiana, sordina compresa) ma che sentire sublime in quell’inerpicarsi immenso e quanta infinita grazia per un cazzo di fottuto mondo…la titletrack con il suo muoversi fra stili ed epoche diverse ma prestate orecchio ai cambi di ritmo, non “stacchi” ma un continuo evolversi/rincorrersi lasciato ad un momento…e poi quel cazzo di sax, notturno, devastante….c’è Waste che parte in una sequenza molto “free” per poi riallacciarsi ad un più “classico” jazz modale e bebop ma anche qui sarà tutto un divenire, mai scontato ed infine A Simplex One forse il pezzo più “rassicurante” (ma nemmeno poi troppo) per chi ama un certo jazz…How Time Passes è questo, quelli bravi direbbero un lavoro “buono ma ancora acerbo” noi una musica (una passione, un sentire) che ostinatamente si farà altro, tutto da scoprire….Grazie Don e da Roots! è tutto e come sempre buon ascolto (qui o qui).         

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