Roots! n.157 aprile 2021 Dirty Dozen Brass Band

Dirty Dozen Brass Band - Voodoo

Dirty Dozen Brass Band – Voodoo

by Simone Rossetti

Benvenuti a New Orleans (Louisiana) dove tutto ha avuto inizio; siamo nei primi anni del ventesimo secolo, iniziano a diffondersi gli strumenti musicali di origine europea, tromba, sassofono, tuba, clarinetto, grancassa, poi le prime marching band, le prime improvvisazioni a nome Buddy Bolden (storia tristissima che merita una lettura a parte), il blues, il gospel e lo spiritual che verranno destrutturati e reinventati in nuove forme e colori per adattarsi alla complessità di una nuova musica sempre e comunque profondamente “nera”, infine il jazz. Ora un salto temporale, siamo sul finire degli anni 70, la Dirty Dozen Brass Band nascerà proprio qui a New Orleans, è del 1984 il loro album di debutto, My Feet Can’t Fail Me Now ed a seguire questo Voodoo del 1987; vi starete chiedendo quale collegamento ci sia, c’è, ma è bene chiarirlo subito, non si tratta di un semplice copia e incolla come potrebbe sembrare ad un primo ascolto, si, il suono, le atmosfere, il groove è quello delle prime marching band di jazz, d’altra parte questa è la musica della Dirty Dozen Brass Band, questo è il loro retaggio, la loro storia e la loro forma di espressione ma non c’è alcun “plagio” storico e lo si sente prima di tutto (ovviamente) dal suono delle registrazioni, poi dalle aperture melodiche e armonizzazioni, infine dalle possibilità date alla libera interpretazione dei singoli musicisti; per il resto si, siamo a New Orleans nei primi anni del 900, nel quartiere francese, il giorno del Mardì Gras (i festeggiamenti del carnevale) “quando tutto il male della città è vivo e ben sveglio… semi-bestie, semi-pesci, teste di serpenti su corpi con braccia di scimmie, uomini-pipistrelli dalla luna, sirene, satiri, mendicanti, monaci e ladri sfilano in parata a piedi, a cavallo, con carri, carretti, carrozze, automobili, in una grande confusione, su e giù per le strade, gridando selvaggiamente, cantando, ridendo, giocherellando, fischiando, e gettando farina sugli astanti” (così come descritto da James R. Creecy nel suo libro Scenes In The South And Other Miscellaneous Pieces del 1835). Per ascoltare questo Voodoo non c’è ovviamente bisogno che vi travestiate da uomini-pesce basta semplicemente lasciarsi trasportare dai suoi profumi, dal suo ritmo travolgente, dalle sue sonorità profondamente ancorate alla tradizione popolare “nera” ma anche aperte ad un jazz più moderno (comunque sempre orecchiabilissimo); niente di eccezionale o di imprescindibile (sempre che questi termini abbiano un senso) ma è una musica “ricca”, spumeggiante, contagiosa, compositivamente abbastanza semplice ma i DDBB riescono a suonarla ottimamente ed è un bel sentire. It’s All Over Now apre le danze in pieno old-style, grancassa e trombone a scandire il tempo e tutto suona nel pieno rispetto della tradizione, più complessa è Voodoo con il suo ritmo infernale e i soli che si susseguono tra demoni notturni, fantasmi, spiriti creoli e uomini-pesce, il tutto in un atmosfera eccitante e “malata”; sul jazz più classico e tradizionale è Oop Pop A Dah con sezione ritmica a scandire il tempo ed un cantato in pieno scat (sillabato, ad emulare il suono degli strumenti), Gemini Rising ha una bella sezione fiati in stile acid-jazz e potrebbe ricordare qualche colonna sonora dei film “blaxploitation” in voga negli anni 70, c’è Don’t Drive Drunk dalle atmosfere caraibico-spagnoleggianti (qui si sentono tutte le influenze della musica europea, ma più che di influenze sarebbe giusto parlare di “assimilazione”) e la più blues Black Drawers/Blue Piccolo con la prima parte strumentale e la seconda con accompagnamento vocale, siamo nel profondo sud, le radici sono qui e sempre qui si farà ritorno, a chiudere ci penserà la diabolica Santa Cruz ed il suo ritmo frenetico degno delle migliori marching band dell’epoca; tutti musicisti con le “contropalle” (da Branford Marsalis al sax a Dizzy Gillespie alla tromba, da Dr. John al piano agli altri componenti fondatori), si può obiettare che alla fine sia una musica “ripetitiva” e avete ragione, ma non va ascoltata in quest’ottica, il jazz è una variante infinita di possibilità ma all’interno di un genere (che sia bebop o hardbop o free) le possibilità di variazioni sono quelle che sono e tenete conto che qui siamo proprio agli albori del jazz, forse è un “limite” ma risiede qui il piacere di ascoltare questa musica, poi si, ci sono brani migliori ed altri minori, brani che possono piacere di più ed altri meno ma è un discorso valido per qualsiasi album, per qualsiasi musica ed in futuro avremo modo di riparlarne, per il momento godetevi questo Voodoo che è davvero tanta roba. Da Roots! è tutto e come sempre buon ascolto (qui).

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