
Depeche Mode – Black Celebration
by Simone Rossetti
Sui Depeche Mode è stato detto e scritto di tutto, dalle origini ai primi successi, dalle problematiche all’interno del gruppo fino ad un riscontro commerciale su scala planetaria; cos’altro poter aggiungere? Nulla, assolutamente nulla, personalmente (ma è pur sempre una questione di gusti strettamente personali) trovo che abbiano scritto alcuni grandi pezzi e realizzato dei buoni album (non tutti grandi ma quasi tutti buoni) e comunque le vendite ed i live stanno lì a smentire chiunque voglia affermare il contrario ma i Depeche Mode hanno avuto un altro grande (enorme) merito che è stato quello di dare alla musica “elettronica” (synth-wave, synth-pop o comunque la si voglia chiamare) lo stesso “status” del rock, la stessa empatia, “rock ma con una strumentazione diversa”; forse non sono stati i primi, probabilmente non i soli ma per il pubblico raggiunto ed a livello compositivo quasi certamente gli unici. Perchè scegliere questo Black Celebration (1986, Mute Records) loro quinto album in studio e non un altro? Perchè in qualche modo è diverso, ha un senso di incompiutezza generale (un pò come il bruco che sta per diventare farfalla), c’è malinconia, dolcezza e forti richiami a quella che è la grande tradizione corale americana (gospel-soul) pur senza perdere di vista le proprie radici “elettroniche”; che poi abbia venduto qualche milione di copie nel mondo a noi interessa il giusto, ne avesse vendute anche solo due (di numero) resterebbe un grande album e noi saremmo comunque qui a parlarne. Detto questo la titletrack è un bel brano, atmosferico ma che si può considerare “introduttivo”, il testo è permeato da un’amarezza di fondo con piccoli spiragli di luce “To celebrate the fact, that we’ve seen the back, of another black day”; c’è Fly On The Windscreen altro brano dai toni malinconici e cupi con una bella apertura nel refrain, la sensazione è sensuale ed allo stesso tempo angosciante, da ultima spiaggia; si prosegue con la dolcezza di A Question Of Lust, se non uno fra i brani migliori poco ci manca, a seguire un brano che è un piccolo capolavoro (sempre piccolo, il grande capolavoro non esiste), Sometimes, coro da chiesa ad introdurre poche note di piano e la voce di Gore, nient’altro a parte un gioco di cori che come le onde del mare si ritirano per poi fare ritorno; c’è It Doesn’t Matter Two un gioco di specchi che si apre ad una tristissima melodia dal sapore d’altri tempi per poi spegnersi desolatamente sul finale mentre A Question Of Time è più ritmata e dove si sente maggiormente il peso dell’elettronica. Stripped, un colpo da maestri che non ripeteranno, forse, più, c’è Here Is The House un brano minore ma di grande personalità e con belle armonizzazioni vocali; e ci avviamo così verso la conclusione con Dressed In Black, brano anomalo e dalle atmosfere complesse, un semplice giro di synth-bass che si ripeterà come una malinconica litania mentre la voce di Dave Gahan (già bella di suo ma che qui ne percorre tutte le minime sfumature) sembra sempre sul punto di spezzarsi ed a chiudere New Dress, brano che ci sembra suonare estraneo (compositivamente e per arrangiamenti) al contesto dell’intero album ma i gusti sono gusti e probabilmente molti di voi lo troveranno un ottimo brano. Black Celebration lo si può considerare come l’inizio di un nuovo ciclo (il loro primo album Speak & Spell risale al 1981) non ancora compiuto ma che si perfezionerà con i lavori successivi (Music For The Masses del 1987), il resto è storia “nota” ma sulla quale ritorneremo a tempo debito; per il momento ci fermiamo qui e da Roots! è tutto e come sempre buon ascolto (qui o qui).