

Billy Idol – Rebel Yell
(1983, Chrysalis / Capitol Records)
by Simone Rossetti
Parliamoci chiaro, il rock è anche estetica, anzi, soprattutto estetica e lo è sempre stato sin dai suoi albori, pensate alle pose “ribelli” di un certo Elvis o ai capelli impomatati e gli abiti dai colori sgargianti di Chuck Berry, lo sono stati i capelli lunghi come le creste punk ma anche il chiodo per i metallari così come l’estetica più “sanguinolenta” di certo black-metal; non si tratta ovviamente solo di estetica, per fortuna c’è anche dell’altro (non sempre) ma perchè dico questo, perché parlare di Billy Idol è un pò come tirare in ballo il sanguinaccio (per intendersi quello preparato con il sangue del maiale), buono, ma o lo si ama o lo si odia. Billy Idol è fondamentalmente un misto di estetiche riprese da un passato più o meno remoto, da Elvis a Sid Vicious, dal rock’n’roll al punk fino al cyber, il ribelle (ovviamente finto) per antonomasia; poi ci sono anche dei buoni album e degli ottimi pezzi, il che non guasta, anzi diciamolo molto francamente, Billy ci ha saputo fare, niente estremismi underground o tematiche politicizzate ma semplicemente del buon rock’n’roll rivisitato in salsa moderna, ruffiano al punto giusto, danzereccio, a volte svenduto sotto falsi riff più duri ma sempre pulito, raffinato, mai pretenzioso e tutto sommato onesto. Rebel Yell, milioni di copie vendute, dischi d’oro, platino e kryptonite; un prodotto commerciale quindi? Non propriamente e non iniziate a storcere il naso perchè al di là dei soliti luoghi comuni c’è del buono; quel che è certo è che Billy Idol non era (è) uno sprovveduto, sul finire degli anni ’70 era stato il frontman dei Generation X ed aveva suonato insieme agli ancora embrionali Siouxsie And The Banshees, poi la decisione di proseguire con una carriera solista, un primo album omonimo con un discreto successo ed il successivo, questo Rebel Yell del 1983. Un prodotto “appetibile” appositamente creato? Sinceramente non lo sappiamo, che si sia “auto-inventato” un certo look ed un immagine probabilmente si, ma il rock ne è pieno di esempi ed anche peggiori, quello che conta è appunto la musica; a proposito, il nostro invito è di avvicinarsi all’ascolto di questo lavoro senza l’ausilio dei vari video musicali che all’epoca accompagnavano l’album, un “di più” che francamente non serve; e si parte subito alla grande con la titletrack Rebel Yell, incedere incalzante, metrica dritta, chorus e refrain tanto semplici quanto perfetti, la voce di Idol mostra tutte le sue sfumature, dapprima calda e sensuale poi più aggressiva ma sempre controllata, lo stacco verso la metà del brano è di quelli che entreranno di diritto (commercialmente?) nella storia storia del rock, si passa quindi a Daytime Drama di impostazione ritmica quasi disco ma nel complesso un brano tipicamente new wave, anomalo nel contesto ma comunque con un suo fascino, si prosegue con un altro classico, la crepuscolare e malinconica Eyes Without A Face e qui davvero ci raccomandiamo di non affidarsi al video che all’epoca girava ininterrottamente su MTV ma di gustarsi e di godere semplicemente di questa musica, un velluto di tastiere e la voce calda e bassa di Billy, non il classico “lentone” da discoteca ma un bel brano con una marcia in più (anche nel suo testo cupo e desolante); Blue Highway ha il profumo di quei pezzi “old” senza tempo, ed in effetti è un semplice rock’n’roll con un refrain arioso ed incontenibile di quelli che ti rendono bella una giornata alla faccia di un tutto e tutti, qualità non da poco,c’è Flesh For Fantasy altra hit (ed all’epoca lo fu), sicuramente un buon brano ma il classico tormentone, Catch My Fall più semplice, un bel pezzo dove tutto è al posto giusto e suona come dovrebbe suonare, voce calda, le note di un sax in sottofondo ed un bellissimo refrain. Più punk rock (Do Not) Stand In The Shadows, un buon tiro, festaiola e sguaiata al punto giusto ha il potere di riportarci indietro nel tempo quando tutto era più semplice (ma quando mai!), a chiudere l’album un bel brano di atmosfera, The Dead Next Door, questo si, il classico “lentone” ma non sottovalutatelo perchè ha davvero delle buone carte da giocarsi a partire dal bellissimo testo, le sonorità sono soffuse e vellutate, una chitarra anni ’50 in leggero riverbero, tutto scorre senza sussulti per poi spegnersi sul finale con pochi e desolanti rintocchi di cassa. Vi starete chiedendo se era proprio necessario scrivere così tanto per un album di Billy Idol, vi diciamo subito di si (e comunque le parole così come gli ascolti non basterebbero mai), vero è che per alcuni album di parole ne basterebbero molte meno ma non esiste uno standard fisso; lasciatevi quindi rapire molto liberamente e senza pregiudizi da queste note e non ve ne pentirete; malgrado tutto è un grande album. Da Roots! è tutto e come sempre buon ascolto (qui o qui).
Def Leppard – On Through The Night
(1980, Mercury Records)
by Simone Rossetti
Quella dei Def Leppard è una bella storia, nel senso che è anche una bella storia da raccontare, lo sarebbe, se non fosse che anche le storie più belle hanno il loro rovescio della medaglia. I Def Leppard si formarono sul finire degli anni ’70 in quel di Sheffield (Inghilterra), dopo alcuni cambi di formazione trovarono il giusto equilibrio con Joe Elliott alla voce, Steve Clark alla chitarra solista, Pete Willis a quella ritmica, Rick Savage al basso e Rick Allen alla batteria; la più classica delle formazioni heavy metal, solo che ai Def non interessava suonare o far parte di quella scena, in quegli anni comunemente chiamata NWOBHM (New Wave of British Heavy Metal), il loro suono guardava oltre oceano ed era quanto di più rock-FM (nel senso classico, buono e migliore) ci potessere essere, sapevano cosa volevano e sapevano farlo bene e così nel 1987 con l’album Hysteria arrivò anche il meritato successo mondiale; ma per ogni dopo c’è sempre un prima e noi di Roots! preferiamo parlarvi di un inizio, del loro primo album, questo On Through The Night del 1980. Intendiamoci, con tutto il ripetto non è che i Def Leppard abbiano fatto la storia del rock o inventato chissà che di nuovo ma in un certo senso e per l’epoca si lo hanno saputo “interpretare” meglio di altri. On Through The Night sebbene fosse il loro album di debutto non è da considerarsi “immaturo” anzi, centra subito il bersaglio con sonorità dure ma non troppo, buoni riff e ritornelli accattivanti, album senza troppe pretese ma mai banale; la traccia di apertura Rock Brigade è indicativa di quanto detto, suoni puliti e potenti, un bel refrain in crescendo e trascinante al punto giusto e cori a sostenere la voce solista di Joe Elliott, lo stesso si può dire per la successiva Hello America con il suo intro che è tutto un programma; si prosegue con quello che personalmente ritengo uno dei pezzi più belli della loro carriera Sorrow Is A Woman una ballad dall’incedere scostante con momenti più morbidi ed altri più duri fino al notevole crescendo finale con il bellissimo solo di Clark, segue It Could Be You dai riff di stampo AC/DC, veloce ed intensa senza essere mai veramente metal; accennavamo all’inizio alla storia dei DL, questa è la parte, se vogliamo, bella, dopo l’album Pyromania del 1983 i Def decisero di comune accordo di ritirarsi dalle scene per aspettare il loro compagno, il batterista Rick Allen che nel 1984 a causa di un incidente automobilistico perse completamente il braccio sinistro, aspettarono tutto il tempo necessario affinché Rick imparasse di nuovo a gestire (e suonare) la batteria con l’uso di un solo braccio, rientrarono solo nel 1987 con la pubblicazione dell’album Hysteria che come abbiamo detto fu un successo a livello mondiale; sono quelle cose forse banali ma anche quelle storie che fa piacere leggere, rare e preziose (soprattutto in ambito rock). Si prosegue con Satellite, un bel pezzo anche se il refrain non rende al meglio lo sviluppo compositivo del brano, When The Walls Came Tumbling Down parte come una ballad ma è solo un accenno mentre Wasted e Rocks Off sono due pezzi più tipicamente hard-rock ma che non convincono del tutto, spetterà a It Don’t Matter trovare il giusto equilibrio fra orecchiabilità e potenza con un ottimo chorus ed il bel solo di Clark, anche la successiva Answer To The Master non delude, più rocciosa della precedente ma senza mai perdere di vista il senso armonico e melodico, a chiudere nel migliore dei modi “possibili” Overture un pezzo di gran classe dove viene fuori tutta l’eleganza e la materia di cui sono fatti i Def Leppard, un semplice e puro rock, solare, ottimista, malinconico, con un crescendo sontuoso ma mai sopra le righe, basta ed avanza. Era il 1991, quindi nel pieno del successo di Hysteria che il corpo di Steve Clark venne ritrovato senza vita nel suo appartamento di Londra, questo trentun’anni, è l’altra faccia della medaglia di questa storia, storia che comunque andrà avanti, perchè andare avanti è spesso necessario. Da Roots! è tutto e come sempre buon ascolto (qui o qui).