
David Sylvian – Secrets Of The Beehive
by Simone Rossetti
Dai Japan a se stesso (ed a se stessi), come spesso ed inevitabilmente accade, passaggio non semplice ma così è il nostro scorrere; dei Japan (David Sylvian, Rob Dean, Mick Karn, Richard Barbieri, Steve Jansen, Rob Dean) riparleremo più approfonditamente in seguito ma al momento ci fermiamo qui; i Japan non esistevano già più dal 1983, ognuno per la sua strada, Davis Sylvian inizierà il suo percorso personale nel 1984 con la pubblicazione di Brilliant Trees, a seguire Alchemy: An Index Of Possibilities del 1985, Gone To Earth (1986) ed infine questo Secrets Of The Beehive del 1987, ci sarà anche un seguito ma non ora. David Sylvian (David Alan Batt), musicista, compositore e voce dei Japan (se il nome non vi dice nulla sono stati fra i maggiori esponenti della scena new wave-romantic sul finire degli anni 70 primi 80), una lunga carriera solista, collaborazioni di tutto rispetto (Ryūichi Sakamoto, Robert Fripp, David Torn, Evan Parker), una reunion (Japan) a nome Rain Tree Crow ed un profilo personale molto riservato. Secrets Of The Beehive è un bellissimo album ma (lo diciamo per chi ancora eventualmente non lo conoscesse) se vi venisse in mente di ascoltarlo il giorno di ferragosto sulla spiaggia di rimini sappiate che probabilmente vi rincorreranno per tutta la riviera romagnola ed oltre, se invece gli dedicate un ascolto sempre nella stessa spiaggia ma in un pomeriggio d’autunno o d’inverno vi assicuriamo che sarà quell’album perfetto (se poi non avete una spiaggia può andar bene anche un qualsiasi altro luogo, è la musica che ci sceglie ed in ogni caso potrete sempre spegnere). Insieme a David Sylvian (voce, piano, chitarra) troviamo Ryūichi Sakamoto (chitarre, organo, sinths, piano), Steve Jansen, fratello di David (batteria), David Torn (chitarra elettrica), Danny Thompson (contrabbasso), Danny Cummings (percussioni), Phil Palmer (slide-acoustic guitar), Mark Isham (filicorno, tromba), una musica, come avrete dedotto, dalle atmosfere molto intime e malinconiche, spoglia di effetti vari ed arrangiamenti “moderni”, composta e suonata con classe immensa ed un senso di perdita costante. L’album si apre con September, 1minuto e 17 secondi e due possibilità, o siete nello stato d’animo giusto o è meglio che rimandiate l’ascolto ad un altro momento (questo per non rovinarvelo, poi fate come vi pare, qui non diamo consigli), bello, assolutamente splendente di quella luce malinconica ed autunnale che è il nostro quotidiano scorrere, solo piano e voce con un leggerissimo tappeto di archi a sottolineare le modulazioni armoniche, un sentire che non ha tempo né spazialità, brevissimo ma talmente intenso che potrebbe diventare quella “canzone rifugio” per la vostra anima. The Boy With The Gun non è da meno, una ballata acustica più strutturata e complessa con delle bellissime aperture armonico-melodiche ricche di phatos ed incastri vocali di grande classe, poi c’è la voce di Sylvian, bassa, profonda, morbida, un narrare che accompagna la musica (e non il contrario); c’è Maria dalle atmosfere ambient-elettroniche, un sogno nel quale immergersi e perdersi ed a seguire un altro piccolo capolavoro, Orpheus, una ballata dolce e malinconica semplicemente immensa, fragile come lo sono le note di tromba nel breve solo di Isham o del piano di Sakamoto nel finale. E qui potremmo anche concludere ma come si fa a non menzionare l’eterea bellezza “classica” di When Poets Dreamed Of Angels? O quella fiaba “scura” che è Mother And Child speziata di jazz e di blues? Ci sono Let The Happiness In e la conclusiva Waterfront e che dire, niente, una musica che la si ascolta perchè necessaria, quel cibo per l’anima del quale non se ne può fare a meno, è solo un momento poi passerà, in ogni caso saprete che c’è e dove trovarlo (ri-trovarvi); da Roots! è tutto e come sempre buon ascolto (qui o qui).