Roots! n.105 febbraio 2021 Charles Mingus – The Black Saint And The Sinner Lady

Charles Mingus - The Black Saint And The Sinner Lady

Charles Mingus – The Black Saint And The Sinner Lady

(1963, Impulse! Records)

by Simone Rossetti

From A Poem

Touch my beloved’s thought while her world’s affluence crumbles at my feet.” (Charles Mingus)

In presenza di un album come questo ci chiediamo solo una cosa, come sia possibile che l’essere umano con tutte le sue miserie, nefandezze, atrocità, follie riesca a creare un qualcosa di tale purezza e bellezza ed a che pro verrebbe da chiedersi, a che pro. Charles Mingus, un visionario, un grandissimo compositore e contrabbassista jazz, uno un po’ fuori dall’ordinario consapevole della diversità del suo “colore” e delle diseguaglianze subite dalla sua “razza”; uno tosto, uno che aveva le idee ben chiare sul come ed il perchè le cose andassero in un certo modo. “Nero” ovviamente ma anche amante della tradizione musicale europea, delle grandi orchestre di Duke Ellington, della musica messicana, del più profondo e scuro blues. The Black Saint And The Sinner Lady è un’intuizione, una sola e semplice intuizione, è la sua linea melodica semplice quanto affascinante, un tema di pochi accordi e note che viene suonato, abbandonato, destrutturato, divorato, ripreso e reinterpretato in tutto il suo scorrere, in un continuum ciclico; ad una qualsiasi persona “normale” anche applicandovisi tutti i giorni non sarebbe bastata una vita intera per riuscire a completare un’opera come questa; “completare”, perché l’intuizione è forse la cosa più “semplice” poi viene tutto un resto, ogni nota dovrà essere al suo posto, ogni intervento solista o di gruppo dovranno avere uno spazio ed un momento ben definiti, niente dovrà essere lasciato al caso od alla spontaneità del singolo, tutto dovrà essere scritto e trascritto, provato, riprovato ed infine suonato. Un lavoro immane che Mingus riuscì a registrare in un’unica sessione, era il 20 gennaio del 1963; più che di un album si tratta di una suite suddivisa in quattro parti (l’ultima in due sottoparti), fortemente “politica”, volutamente “nera” (nelle intenzioni, compositivamente come potrete ascoltare sarà molto più ricca). Track A-Solo Dancer ad introdurre subito il tema principale, sontuoso, potente, elegante ma anche “oscuro”, opprimente, la melodia solo accennata si svelerà più in là, dolce, rarefatta, eterea (sezione fiati composta dai sassofoni, tromba, trombone e tuba, al piano Jaki Byard, alla batteria Dannie Richmond, alla chitarra Jai Berliner ed al contrabbasso ovviamente Mingus) quasi un canto, un lamento, come approccio un jazz al limite del free in realtà sarà tutto calibrato perchè il tema e le sue aperture si svelino pian piano; Track B-Duet Solo Dancers è introdotta da poche malinconiche note di piano alle quali si aggiungeranno i fiati svelandoci questa volta il tema per intero, avvolgente, caldo ma non durerà molto, climax che si farà più cupo, duro, ad un certo punto sembrerà di ascoltare il suono della vecchia New Orleans fra riti voodoo, blues ed orchestre improvvisate, una bolgia di colori e profumi che riprenderanno poi il tema per portarlo alla sua conclusione. Track C-Group Dancers, terzo movimento lasciato quasi interamente al piano di Jaki Byard che dolce e malinconico si muoverà all’interno del tema creando un atmosfera da brivido, seguirà un cambio di tempo dove la sezione ritmica andrà ad aggiungersi al resto dell’organico ed infine le note di un sax che in solitaria andranno a chiudere il brano; ultimo movimento, Mode D-Trio And Group Dancers, la composizione verrà ripresa da tutto l’organico (compresa la chitarra spagnoleggiante di Jay Berliner), atmosfere più spigolose, dure, convulse ma ci sarà sempre il tempo per riprendere il tema in tutta la sua malinconica dolcezza, è la parte più blues, più “nera”, uno spiritual senza tempo e poi via verso un gran finale dove tutto si placherà per far ritorno a quella prima e semplice intuizione. The Black Saint And The Sinner Lady è un album da divorare per intero, senza tentennamenti, pause, pensieri altrove, dall’inizio alla fine; è musica, grande musica, che poi lo si voglia chiamare jazz o “caccaponza” non ha alcuna importanza, per fortuna la Musica ed il suo ascolto vanno ben oltre semplici etichette di genere; album immenso, immenso per intuizioni, per tecnica e per tutto il dolore di questo mondo (e personale) che sembra portarsi dentro (dolore che però saprà farsi gioia). Da Roots! è tutto e come sempre buon ascolto (qui o qui).

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