CCM (Cheetah Chrome Motherfuckers – Retrospettiva)
by Tommaso Salvini
Parlare dei CCM di Pisa mi risulta difficile poiché i CCM sono un gruppo difficile in generale: difficile la comprensione di un gruppo che non voleva essere compreso, i CCM li puoi amare e li puoi odiare e nulla che stia nel mezzo. Difficili le armonie, il cantato, l’estetica del suono: un’avversione più che palese per la melodia, la forma strofa-ritornello totalmente ignorata, hardcore senza Anthem, velocità folle, un odio così ben rappresentato da divenire palpabile; la volontà di mantenere vivo un rapporto con quello che di buono era stato prima di loro e che, trasportato nel loro breve, ma devastante, periodo di esistenza come gruppo (1979-1987) si traduce in un alfabeto musicale completamente sovvertito: la psichedelia che diventa caos, il Rock n’Roll che diventa grida, schiamazzi e violenza, il punk che diventa teatro dell’assurdo: l’alienazione, delirio, sedute psichiatriche terminate a colpi di bisturi e camicie di forza. “I CCM verranno compresi solo nel 2000” diceva Helena Velena mentre i CCM sanguinavano ancora sui palchi; siamo nel 2000 già da ventidue anni e i CCM restano una parentesi unica, un’eccezione nel mucchio selvaggio dei loro compari di palco e di lotta. L’impressione, riascoltando tutto il riascoltabile (ammesso che, in primis, si stia provando ad ascoltare un qualcosa che è nato per essere ascoltato come si può ascoltare qualsiasi altra cosa) è che i CCM siano stati punk nella filosofia ma, nella pratica, sempre qualcosa di altro, proteso verso un futuro che nessuno avrebbe mai avuto il coraggio di immaginare. Sto esagerando? Sto tradendo un insopportabile campanilismo (i CCM provengono dagli stessi luoghi geografici da dove, grosso modo, provengo anch’io)? Sappiate che all’inizio di tutto, quando li sentii la prima volta (16 anni, una cassetta pirata dello split coi fiorentini I Refuse It), li schedai come un clone male in arnese dei Germs. In realtà per comprendere i CCM bisogna avere cultura in fatto di musica: più si cresce, più si diversificano gli ascolti, più si scava negli archivi e più ci si rende conto di quanto il paragone coi Germs fosse frutto della tipica ignoranza musicale di un adolescente alle prime armi col Punk. I CCM son stati molto di più e, riascoltandoli anche oggi, ci si rende conto di quanto il loro contributo alla musica tutta vada ben oltre la sin troppo riduttiva etichetta sgualcita di “leggenda Hardcore”.
400 Hundred Fascists (1981, Cessophonya Records)
Sia chiara una cosa: il fatto che fossero di Pisa, città profondamente provinciale al di là dei suoi fasti universitari, rappresentò un limite per i CCM in un senso, ma fu la loro fortuna in un altro: pur dovendosi confrontare con una realtà ottusa e poco propensa alle novità, e quindi esposti da subito a quella tipica frustrazione da provincia caratteristica fondante di chi è stato giovane prima di internet, dall’altro lato si ritrovarono, da adolescenti, a vivere in uno dei centri sismici più attivi della rivolta universitaria degli anni ’70; cresciuti tra concerti del Banco Del Mutuo Soccorso, Area e Stormy Six, dischi di Frank Zappa e Pink Floyd (il nome d’arte del cantante, Syd, non è una storpiatura di Sid Vicious ma un tributo a Barret) e una realtà quotidiana fatta di antagonismo, scrittori Beat e cultura underground, i CCM trovarono nel Punk Rock non una rottura col passato, come spesso decantato da molti, ma un nuovo linguaggio rock n’ roll sul quale lavorare e produrre nuove sonorità e suggestioni. Già nei tre pezzi di questo primo vagito (vagito per modo di dire, questo disco è il boato di una molotov lanciata contro la vetrina di una banca) i CCM dimostrano ampiamente quanto siano capaci di usare il punk per le loro proiezioni personali e non per emulare un qualche gruppo d’oltremanica o d’oltreoceano. Il pezzo che da il titolo al singolo gode di un’atmosfera oscura e maledetta, il ritmo non è veloce ma cadenzato, la voce è stregata e corrotta; siamo di fronte a qualcosa di diverso che, si, è punk, ma guarda altrove: il delirio di un ubriaco in preda ai suoi tumulti interiori. Tellyson ha un attacco di chitarra che apre il pezzo al caos e alla perdizione: non c’è un ritornello, non c’è una strofa, solo un odio squilibrato e senza freno. AlKool si inoltra in un’eccentricità sonora che rincorre gli Zappa e i Captain Beefheart e così facendo inventa il Noise Rock mentre i Sonic Youth sono ancora in fasce. Con un inizio così, registrato in uno stanzino di Navacchio (Pisa), tra bassa risoluzione, ferite mai rimarginate e mezzi di fortuna, i CCM si presentano per quello che sono, senza filtri, ne scimmiottamenti: un gruppo che cambierà tutto usando il Punk come mezzo e non come fine.
(We Are The) Juvenile Delinquency (1983, CS, Autoproduzione)
Si parte con un 7” e si continua, due anni dopo, con una demo: tutto il contrario rispetto alla norma, tutto il contrario rispetto a chiunque altro, i CCM fanno sempre quello che vogliono e come vogliono: mettili su un binario e deraglieranno, mettili in una stanza chiusi a chiave e butteranno giù le pareti a testate, imponigli un percorso obbligato e loro preferiranno perdersi che seguire un qualcosa di già tracciato. Questa Demo è uno dei picchi dell’hardcore mondiale degli anni ’80, anzi è forse il suo picco massimo: sfrontata, eccentrica, minimale, confusionaria, Punk, Noise, Psychedelica, Kraut, Poetica, Degradante, Prog, Umiliante, Orgogliosa, tutto gestito da un’urgenza violenta ed incontrollabile: velocità ai limiti della follia lovecraftiana, dell’ossessivo, del celebrale; muri cadono a pezzi mentre suoni alieni si rendono udibili all’orecchio umano a mezzo di fraseggi chitarristici al limite dell’assurdo: non cercate facili riferimenti in gruppi blasonati del periodo, qui non ce ne sono. I CCM maneggiano il Punk con un’insolenza più acuta del Punk stesso. Beffardi parlottano tra pezzo e pezzo, tossiscono, ridono, in una parola se ne infiascano di noi che poi ascolteremo il risultato finale: un gruppo in sala prove che fa come gli pare, con metodo, con estro, con capacità, con una voglia irrefrenabile di andare sempre oltre ogni possibile steccato, confine, blocco di frontiera. Questo è stato all’inizio, questo sarà fino alla fine; che potesse piacere o meno non è una questione che interessasse molto ai quattro pisani. La grandezza è anche questo. Una collezione infinita di pezzi che sembrano, man mano che il nastro scorre, sempre più messi insieme per il solo gusto di sovvertirli durante l’esecuzione. Ricordo di aver comprato questa demo sempre da una distro pirata negli anni ’90 (la discografia dei CCM verrà ristampata solo nel 2017, mi affidavo quindi a questi canali per evitare i prezzi folli degli originali). Un pomeriggio la stavo ascoltando e mia madre entrò di colpo “ma che ascolti? Cos’è ‘sta roba?” non seppi risponderle. Non saprei risponderle neanche adesso.
Permanent Scar (1983, CS, Autoproduzione – 1985, LP, Children Of The Revolution Records, Split con I Refuse It)
Come detto a inizio retrospettiva, conobbi il quartetto pisano proprio da questo split: una cassetta registrata da un’altra cassetta registrata da un’altra cassetta e così via fino alla smagnetizzazione e un’ovvia e sempre più crescente perdita della qualità audio. Lì per lì furono più le divagazioni No Wave-Post Punk-Psichedeliche dei Fiorentini IRI a colpirmi e schedai i CCM come una versione povera dei Germs. Niente di più sbagliato: gli IRI erano semplicemente meno estremi nell’esecuzione e, molti elementi estranei, erano più immediatamente riconoscibili dato che la velocità d’insieme era molto più cortese verso l’ascoltatore rispetto a quella proposta dai CCM (non voglio dire che gli IRI fossero inferiori, anzi: credo proprio che la prossima retrospettiva la dedicherò a loro). Comprato originale, nella versione vinilica dell’inglese Children Of The Revolution, in piena febbre da CCM, capii l’importanza di questo documento che altro non è se non il manifesto ideologico dell’intero Granducato Hardcore (credo che la retrospettiva successiva a quella degli IRI sarà proprio sui gruppi appartenenti a questo circuito): un movimento che univa le varie realtà Punk Rock di tutta la regione Toscana. Il lato dei CCM propone diversi pezzi già editi nella demo del 1983 ma con una qualità sonora migliore, pur rimanendo fedelmente coerenti con la filosofia Lo-Fi: migliora la registrazione ma non cambia l’approccio animalesco nei confronti di materie che fino a quel momento erano state toccate da mani ben più gentili. Anche qui si fa a pezzi per fare risorgere e dare nuovo senso a grammatiche musicali che il Punk diceva di voler distruggere ma che in realtà qui acquistano nuova linfa. Al di là della furia, del palpabile dolore esistenziale, della frustrazione, qui quarant’anni di musica trovano un nuovo albergo e scoprono nuove destinazioni. Per quanto possa sembrare nichilista e cinica, la musica dei CCM è propositiva e stimolante; un po’ come i Velvet Underground, le canzoni dei CCM entusiasmano per capacità decostruttiva e spingono a imbracciare uno strumento e fare come loro: lasciar fluire la propria personalità senza rinnegare il proprio passato, sia di ascolti che di vissuto, e dar vita a racconti microscopici di vita. Nessuno slogan arriva dai testi, nessuna posizione ferma e lapidaria; i pisani qui non vendono certezze (e mai lo faranno), ma solo fragilità ed insicurezze, un canale violento ma comunque empatico e con grandi capacità comunicative. Parlavo di disco-manifesto del movimento GDHC, e in effetti è quello che è: una vera chiamata alle armi che esponendo una propria versione dei fatti (sia nei CCM e che negli IRI) sembra quasi disegnare le linee guida di un gruppo di persone destinate a grandi cose: non c’è un disco, imputabile a quei giorni e a quelle persone, che non esponesse un carattere forte, ben distinguibile, proteso verso un futuro che, per certi versi, voleva superare il contesto di appartenenza e, a questo punto, anche di partenza. Creare un’estetica diversa, un modus operandi che partisse da altri calcoli, considerazioni e rilievi, per andare altrove e rimanere in piedi senza svendersi, svilirsi e scomparire nei soliti vetusti cammini già tracciati dall’industria discografica.
Se cercate un senso nella musica, se pensate che la musica non sia solo accompagnamento e sottofondo, se quello che vi circonda vi svilisce e cercate, ogni giorno, in voi stessi un modo per sopravvivere e creare qualcosa non di diverso ma di altro e oltre questo disco vi darà una testimonianza sincera di chi ci ha provato prima di voi. Fondamentale come un saggio di Emma Goldman.
Furious Party (1985, 7”, Belfagor Records)
Mi rendo conto di una cosa, arrivato a questo punto: di questo gruppo è difficile individuare il picco ed è impossibile registrare, in un qualche punto della loro storia, un’incrinatura che ne faccia intuire un possibile declino. I CCM sono stati un fuoco che è bruciato per quasi dieci anni: fiamma alta, capace di ustionare anche da una considerevole distanza, e quando si è estinto non ha conosciuto, almeno qualitativamente parlando, agonia o decadimento; un colpo e via, prima c’era e adesso non c’è più…se ci si pensa bene, questa è una fortuna capitata a pochi, ma, come si sa oramai bene, la fortuna non esiste e, se esiste davvero è solo perché uno sa crearsela da solo. Questo discorso vale anche per questo meraviglioso singolo: una breve ma intensa fuga nel vicolo buio, un vero e proprio concentrato di energia declinata in incubo, disperazione e ossessione. Qui non c’è fortuna, qui c’è solo esperienza spesa bene, metodo nella fattura e coordinazione perfetta tra gli elementi a disposizione, siano essi musicali o umani… il lato A sembra un trapano puntato sulla tempia, un continuo rincorrersi di attacchi all’arma bianca e lente marce verso un inferno di pensieri cupi e angosce. Una vena oscura traccia un solco indelebile e segna una coerenza di insieme che lascia intravedere il pensiero che sta alla base del gruppo: il racconto di se stessi, senza indulgenze e finzioni, è il vero e unico slogan che possa funzionare nella lotta, nella protesta: portare il proprio vissuto incorniciato in paesaggi ipnotici e riflessioni introspettive: spiegare il proprio conflitto interiore per trovare una soluzione ai conflitti mondiali. Eliminare il proprio, raccontandolo e rappresentandolo, è il primo passo verso la pace e l’unità tra gli esseri umani. Già basterebbero Easy Target e Furious Party, quindi, per rimanere stesi al suolo a riflettere e pensare, ma nulla, non se ne parla nemmeno: la paranoia devastante di Frustration I e II deflagra le menti nel secondo lato: si sussurra, si urla, ci si strappa le vesti; un crescendo in palm muting che non si risolve mai se non in un cadenzato che fa da palcoscenico per lo psicodramma cantato di Syd che si allontana sempre più dalla forma canzone avvicinandosi pericolosamente alla seduta psichiatrica. Solo un singolo, certo, ma un singolo che nella sua breve durata rappresenta già un mondo, quello di metà anni ’80, che affoga nella paranoia nucleare (da lì a poco avrà luogo il disastro di Chernobyl…), nell’orrore dell’apartheid in Sud Africa e nella sconfitta dei minatori inglesi contro il governo Thatcher…i CCM non parlano mai di tutto questo in maniera esplicita ma lo rappresentano in maniera esemplare, risultando più esaustivi di altri. Con chi parla troppo, è facile trovare un punto sul quale non andare d’accordo e dividersi; con chi parla poco ma fa arte con metodo e personalità si avvertirà un’empatia smisurata e non saremo mai capaci di separarcene.
Into the Void (1987, LP, Belfagor Records)
Domenico Petrosino, nome da criminale Dome la Muerte, lascia per unirsi in forma definitiva coi Not Moving lasciando i nostri senza una delle chitarre più inventive e geniali di sempre; è la fine di tutto? La macchina da incubi perennemente sospesi in un dormiveglia inquieto si arresta? No, per niente: è impossibile fermare un’idea così spontanea e ben calcolata allo stesso tempo. Ciò che ha slancio e struttura resiste a tutti gli scossoni e si rimescola, si reinventa, si riassesta. Come chi insegue da sempre una splendida utopia i CCM sono abituati a rimodellare le proprie convinzioni, plasmarle a seconda delle necessità, siano esse già previste o improvvise: Il bassista Antonio Cecchi passa alla chitarra e si fa sostituire da Alessandro Favilli, già negli I Refuse It di Firenze e spedito nella città del conte Ugolino con foglio di via (questa non è una storia, questa è poesia), al suo precedente strumento. Un periodo di assestamento per prender confidenza con il nuovo strumento e con il nuovo membro e i CCM riprendono un’intensa attività dal vivo: suonano ovunque, a qualunque costo, lasciano scie di sangue e dolore: Italia, Europa e Stati Uniti. Negli USA entrano in contatto con le nuove evoluzioni del hardcore: No Means No, Victims Family, False Prophets…suonano, apprendono, scambio di opinioni, commistioni, i CCM non sono un gruppo punk da cartolina: niente creste, niente giubbotti con le borchie, niente Doc Martens, ma solo comunicazione, espansione di orizzonti, ampiezza di vedute, la vita di tutti i giorni come terreno di apprendimento. Come già detto, i CCM aldilà del suono e dell’immagine cupa e disperata sono un gruppo stimolante e propositivo e, con questo primo e ultimo LP completo, lo dimostrano. Into The Void viene registrato a Indianapolis, quasi al termine del tour americano del gruppo, un tra l’11 e il 18 settembre del 1986 da Paul Mahern degli Zero Boys. Il risultato è entusiasmante e non è un’esagerazione: un gruppo completamente maturo ma non snaturato, sempre violento e crudo ma con più mira, più capacità, più slancio. Nulla di calcolato, tutto spontaneo e orchestrato da un gruppo che, musicalmente, respira e si muove all’unisono. Da Feel Like Killing Simeone fino al brano che da il titolo e conclude il disco sembra di essere sul furgone (uno School Bus americano) coi CCM, in tour negli Stati Uniti, tra vicissitudini, concerti bellissimi, sonorità che cambiano, opinioni e convinzioni che, più che cambiare, si approfondiscono e acuiscono. Into the Void è considerato tra i dischi migliori della scena hardcore italiana insieme a Lo Spirito Continua dei Negazione, Screams From The Gutter dei Raw Power e Osservati Dall’Inganno degli Indigesti, ma per me è uno dei migliori soprattutto in campo internazionale: confrontato a tante “colonne portanti” del genere questo disco è un passo o due avanti; certamente non ha Anthem da cantare col dito puntato verso il palco, cosa che al gruppo non è mai interessata, ma ha la struttura tipica del capolavoro. Questo disco è un classico del rock’n’roll, va oltre i generi e le definizioni, mescola le carte in tavola confondendo i generi in una furiosa nebbia Punk Hardcore, si concede delle improvvisazioni (Crushed By The Wheels Of Industry è un’opera d’arte), e, soprattutto, non si ha mai l’impressione che quello che si sta ascoltando sia stato deciso a tavolino, un piglio violento come la vita, veloce come una coltellata o una bottiglia in testa, un delirio di colori, immagini, sensazioni, ferite lasciate sanguinare…
Questo disco è l’Exile On Main Street del Punk o, meglio detto, Exile On Main Street è l’Into The Void del rock’n’blues (ok, l’ho detta e me ne assumo tutta la responsabilità…)
Live SO36 (1988, LP, Destiny Records)
Live che non cattura i CCM, non li imprigiona in un’immagine fissa; si potrebbe giusto dire che li restituisce per quello che erano e riesce a darne una versione più fedele possibile. Fruscii, schiamazzi, lattine di birra si uniscono al gruppo, ai suoi suoni, alle sue urla, alla sua furia. Il SO36 ospita i CCM e i CCM se ne impossessano integrando l’intera situazione dentro il loro suono: non c’è nota, chiacchiera, movimento, rumore che non sia coerente con l’insieme, tutto respira con gli stessi due polmoni, tutto si agita in un solo corpo, tutto sanguina dalle stesse ferite. Buona parte della scaletta è presa da Into The Void (uno degli ultimi concerti dell’ultimo tour europeo del gruppo), segno evidente che i CCM, anche se si stavano avviando verso la fine, continuavano imperterriti a guardare verso il futuro: un treno che non conosce fermate intermedie. Peccato che la destinazione, a questo giro, sarà definitiva.
Right To Be Italian (1995, CS, EU, Produzioni/Provincia Attiva)
Una collezione apocrifa dove, insieme alla demo del 1983, troviamo la registrazione dell’ultimo concerto dei quattro: Il Casalone di Bologna, 20 Giugno del 1987. Dopo questo la fine, il vuoto, il nulla, eppure quello che si sente non è un gruppo sfasciato, a pezzi, ma una delle più grandi e maestose uscite di scena mai registrate: perfetti, disperati, tragici e stupendi. Non è una marcia verso la fine, non è una squallida replica del già sentito e visto, è solo morire nell’unico modo possibile: cessare di colpi il respiro, scomporsi in atomi, divenire altro. Magari i CCM non potevano più essere i CCM e decisero che era giunto il momento di diventare altro, dare nuova forza a situazioni inedite, contribuire a nuovi contesti e nuove forme. Non potevano più farlo insieme e si separarono per continuare ad agire…Nessun rimpianto, nessun rimorso, nessuna reunion: i CCM son stati questo, in un dato periodo storico e all’interno di irripetibili situazioni ed è impossibile replicarli.
The Furious Era (LP/CD, 1979-1987, Area Pirata 2017)
Per avere un accenno di discografia completa dei CCM abbiamo aspettato il volgere di strani eoni, abbiamo visto la morte morire e tante altre amenità che non hanno nome poiché un nome non devono avere. Posso dire in tutta onestà che son contento sia andata così: la ricerca dei loro reperti mi ha condotto verso canali sotterranei fatti di scambio di cassette e opinioni. Non partecipando per molto tempo alla giostra di ristampe Punk Hardcore anni ’80, che includevano anche nomi molto meno altisonanti del loro, i CCM hanno accresciuto il loro mito, quell’aura di mistero che va al di là del concetto di “mito” e si pone più tra i gioielli nascosti dal tempo e la scoperta dell’ignoto. Questo ha reso insostenibili le spese per gli originali (guardate a che cifre è arrivato il primo singolo datato 1981 e preparatevi a svenire) ma, allo stesso tempo, ha nutrito il culto del gruppo forse ponendolo anche al di sopra di gruppi che, a suo tempo, godevano di una maggiore notorietà (e quindi forse nel posto che si meritavano sin dall’inizio). Quando è uscita questa raccolta, tanto per dire, la sua prima tiratura si è esaurita in poche settimane: in molti fremevano per poter mettere le mani su una testimonianza riconosciuta della loro grandiosità e poterne godere a giornate intere.
Ho scritto questa lunghissima retrospettiva sui CCM perché mi sembrava un atto dovuto nei confronti di uno dei miei gruppi preferiti di sempre; preferiti per approccio, suono, filosofia e vissuto. Sarebbe stato impensabile per me, tuttavia, scriverla senza l’apporto di due libri bellissimi: Antonio Cecchi – No More Pain (2017, Area Pirata) e Dome la Muerte/Pablito El Drito – Dalla Parte Del Torto (2020, Agenzia X). Due testi (e in particolar modo il primo di Cecchi, considerato che l’autore è, insieme al cantante Syd, rimasto nel gruppo dall’inizio fino alla fine e che proprio su questa esperienza l’intero libro si sviluppa) che riescono perfettamente a contestualizzare e a dare una chiave di lettura necessaria ai CCM: un gruppo di persone cresciute in un luogo e in un contesto che ha permesso loro di sviluppare un’ idea del tutto unica di Punk Rock e di dar vita ad altri contesti e situazioni che qui, a Pisa e provincia, son tutt’ora in piedi.