
Bob Marley And The Wailers – Soul Rebels
(1970, Upsetter Records / Trojan Records)
by Simone Rossetti
E così dopo aver tanto rimandato, tergiversato, gozzovigliato e chissà quant’altre “paranoie” dettate dal solito bisogno di un “parlare di musica” eccoci qui, a modo nostro (discutibile) come sempre.
Partiamo da una fine, Miami (Florida), 11 maggio 1981, giorno nel quale Robert Nesta Marley trascenderà ad altro e non per abuso di sostanze varie né per essere rimasto soffocato dal proprio vomito o per drastica scelta personale ma per un “banale” melanoma mal curato, aveva 36 anni, fine, così va la vita, così la percorriamo, tant’è. Un salto indietro, 1970, Soul Rebels, primo album a nome The Wailers (in realtà ci sarebbe anche The Wailing Wailers del 1965 ma più una raccolta di demo che un album vero e proprio), se poi osservate bene quanto riportato dall’artwok (non il massimo ma avrà sicuramente un suo senso che a noi sfugge) noterete che c’è scritto Bob Marley And The Wailers quando in realtà il primo album accreditato a nome Bob Marley And The Wailers sarà Natty Dread del 1974 (Burnin’ del 1973 riporterà solo The Wailers), non che la cosa non ci faccia dormire la notte ma tanto per un parlare. 1970, siamo agli inizi di un tutto (ed in quest’album c’è), Bob Marley è Bob Marley ma non ancora “quel” Bob Marley, sono gli Wailers (Bob Marley voce e chitarra, Lloyd Brevett al basso, Lloyd Knibbs alla batteria e Jackie Mittoo alle tastiere); registrato in quel di Kingston (Giamaica) e prodotto da Lee “Scratch” Perry (1936-2021) non uno qualsiasi anche se il risultato in questo lavoro non sarà dei migliori ma alle nostre orecchie non dispiace (per l’epoca, audacemente “controverso”). Se vi aspettate il classico album reggae sappiate che questo Soul Rebels non lo è, più rocksteady ma in evoluzione verso altro (niente sezione fiati), molto soul, un lavoro forse “acerbo” ma con delle buone intuizioni e qualche pezzo davvero niente male come l’iniziale Soul Rebel (un rocksteady-reggae dal suono a dir poco melmoso), il funky-soul di It’s Arlight, una intensa e scura No Sympathy, lo ska rallentato di Corner Stone, My Cup (cover di un brano di James Brown) ed un grande pezzo (a firma Peter Tosh) come 400 Years. Ok, non è un album imprescindibile (ma verrà ristampato sotto forma di raccolta nel 1974 con il titolo Rasta Revolution) ma nel suo “divenire” ha un qualcosa di bello, onesto, audace, incompiuto che merita almeno un ascolto; il resto è storia nota (anche troppo e spesso a sproposito), noi preferiamo fermarci qui ed è già un gran bel sentire e tanto basta. Da Roots! è tutto e come sempre buon ascolto (qui o qui).