Roots! n.362 gennaio 2022 Bengala – Il Sonno Della Provincia Agricola

Bengala - Il Sonno Della Provincia Agricola

Bengala – Il Sonno Della Provincia Agricola

(2022, autoprodotto)

by Tommaso Salvini

Come si può parlare di umani mali senza risultar banali? Come si riesce, dunque, a non scadere nella compassione, in quell’ipocrisia fatta carità ed elargita come elemosina? Riallacciare un legame con trascorsi che affondano nelle origini, nei primordi, coi primi passi; un paganesimo spontaneo che descrive l’essere umano per quello che è in natura: ferino ma fragile, affamato e disperato…Riallacciarsi ad un periodo storico precedente all’imperatore Augusto, che nel 300 dopo Cristo fece di un impero un luogo di culto cristiano decretandone la decadenza, e parlare dell’oggi, dell’adesso: senza passato non esiste futuro, poiché leggere il presente è sempre servito a poco, se non, in chi studia, a cercare risposte, appunto, nella nostra storia comune…Così è per il teorico felice che attinge a fonti storiche per curare i mali del presente e così è anche per i Bengala: un canto elegiaco trasfigurato in un’energica rabbia generata dallo stato di natura e non come sentimento indotto da umana sovrastruttura. Ed è infatti immediata rabbia belluina quella che si affronta nella prima traccia Damnatio Ad Bestias: un acido riff Sabbathiano e batteria quadrata e marziale: inno di battaglia per battaglie perse, lo spirito umano ridotto a macerie, un baccanale di miserie: “Lungo il passo continuo ardito presente feroce…” La sezione ritmica, solida, quadrata, dona marzialità ad una voce possente, ritualistica, visionaria e, scuserete se torno a scriverlo, a un giro di chitarra eccezionale; talmente eccezionale che si rimane quasi spiazzati da Preghiera Per Un Sicario: un ostinato di basso coadiuvato da un synth leggiadro e da una batteria essenziale: il resto è stornello dannato, cinico: la fine di chi ha decretato la fine di molti…un sicario, un personaggio che, conoscendo la morte per nome, la affronta col sorriso. Ancora un ostinato, stavolta di chitarra, per sola chitarra, sola chitarra e narrazione da gogna e paura: “Si racconta che la luna si nutrisse di carne umana e si narrano storie terribili di feroci assassini, si ripete infinita, lungo il ciclo di un’unica vita, la condanna di essere vittima sulla pelle segnata…”. La canzone aumenta poi di volume, si aggiunge il basso, un suggerimento di synth a fare da atmosfera e tutto si interrompe, sfumando dolcemente, con un’inquietudine inumana a fare da compagna. Pagus è uno strumentale dolce, malinconico, un dialogo tra due bassi dagli echi pagani: incredibile, nella sua brevità, trasposizione di sentimenti arcaici in chiave moderna. Breve, certo, ma essenziale. Adesso tocca a Gli Antichi Del Sottosuolo entrare in scena in questo Grand Guignol, spettacolo di sangue e aattualità: un riff morboso di chitarra trasfigurata da un pedale Echo ne introduce un’altra, acustica, folk e pagana, e quando tutto dovrebbe esplodere, si interrompe: è la voce ed il basso che, in un dialogo fatto di interruzioni, narrano leggende, superstizioni, terrori, condanne a morte… il dialogo tra le due chitarre torna a fare da ritornello, aumentando ogni volta il suo senso all’interno del brano, la sua tragicità, la sua vitalità disperata…Il Sonno della Provincia Agricola è un’uscita di scena in perfetta linea con l’intero svolgimento: si parte con energico attacco ritualistico e si chiude, dopo varie peripezie vissute a metà tra l’umano ed il metafisico, nella quiete della campagna: un basso suona, una voce si esprime in una ninna nanna maledetta e i grilli gli fanno da controcanto. Un mondo si chiude in se stesso, collassando. Unico difetto di questo disco, così genialmente minimale, dove ogni strumento recita un ruolo ben preciso senza mai peccare di protagonismi ed altri inutili eccessi, dove la cifra ultima è l’atmosfera d’insieme e la felicità del racconto maledetto, è la durata: quando si arriva al canto dei grilli, che ne segna la fine, si vorrebbe di più e ancora, tanto si è rimasti impressionati dall’opera e tanta la tensione e la voglia di rimanere sospesi in questo mondo, quello descritto dai Bengala, fatto di leggende, condanne, battaglie, ferite, natura e istinto…Attendo quindi, sapendo che non resterò deluso affatto, la prossima prova per poter riavere le chiavi di accesso a questo meraviglioso mondo. Da Roots! è tutto e come sempre buon ascolto (qui).

Miky Bengala – autore (musiche/testi) voce, basso, tastiere, percussioni, Claudio Giuntini – chitarra, Mr.Diniz – chitarra

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