Roots! n.181 maggio 2021 Badfinger

Badfinger – Timeless …The Musical Legacy

Autore: Badfinger

Titolo: Timeless…the Musical Legacy

Anno: 2013

Genere: Pop, rock  

Città: varie località.

Componenti: Pete Ham (chitarre, tastiere, voce), Tom Evans (basso, voce), Joey Molland (chitarre, voce), Mike Gibbins (percussioni)

Etichetta: Apple

Formato: CD, MP3

Sito web: Badfinger

Tracks: Day after day – Without you – Rock of all ages – Dear Angie – Come and get it – Maybe tomorrow – No matter what – Baby blue – Believe me – Name of the game – I’ll be the one – Apple of my eye – Suitcase – Timeless – Dennis – Love is gonna come at last

Badfinger-Timeless …The Musical Legacy

by Alessio Impronta

E’ il 1961 quando Peter William “Pete” Ham un ragazzo di Swansea, nel Galles, dalla bella voce ed appassionato di chitarra, forma con alcuni amici una band per suonare la novità del momento, quel rock che viene da oltreoceano e che lui ascolta sulle radio ed in quei dischi che arrivano direttamente dalle navi che hanno attraversato un mare che in tanti, a quel punto, vorrebbero navigare. La vera avventura però inizia qualche anno più tardi, intorno al 1965, quando, fatti alcuni cambi nella formazione e cambiato il nome in The Iveys, Pete ed i suoi arrivano a Londra. Qui iniziano a suscitare un qualche interesse, suonano parecchio in giro, iniziano a farsi un nome e aprono concerti per nomi altisonanti come gli Who, gli Yardbirds, i Moody Blues. Fanno cover soul, blues, pezzi dei Beatles e timidamente propongono qualcosa di loro e conoscono Ray Davies che gli produce alcuni pezzi (che però resteranno nascosti per anni riemergendo solo molto più tardi). Nel 1968, hanno la loro occasione, al mitico Marquee, vero esame per tante band. L’allora manager Bill Collins invita per la serata Mal Evans, roadie e tuttofare dei Beatles che proprio in quel momento hanno fondato la loro casa discografica e di pubblicazioni. Mal Evans resta colpito dalla band e, col beneplacito di tutti e quattro i Fabs, mette sotto contratto Ham e soci. E quindi, the Iveys – per la cronaca – diventano la prima band “non -Beatles” a firmare per la Apple/Apple publishing. Il lavoro iniziale viene prodotto da Tony Visconti (fra gli altri lo ricordiamo per le sue produzioni con Bowie), Maybe Tomorrow, un pop decisamente tipico di quegli anni, se vogliamo un po’ manierato ed overprodotto. E’ comunque un pezzo molto melodico ed accattivante che però non va da nessuna parte. I ragazzi, fra l’altro, si lamentano pubblicamente nelle interviste di non essere presi in considerazione dalla Apple stessa, che continua a respingere demo su demo. In realtà, questo è più che altro il risultato della politica finanziaria di Allen Klein che al momento non vuole alzare il tetto di spesa della casa discografica (poi sappiamo che combinerà dolosi disastri, ma questa è un’altra storia). Il tutto però giunge alle orecchie di Paul McCartney che prende in mano la situazione e gli regala una Come and get it, alla condizione che la suonassero così come scritta, nota per nota e senza variazioni: in pratica, un piccolo corso di songwriting da parte di uno dei più grandi. E qui la storia cambia. The Iveys, nome che già iniziava a risultare datato e anonimo, diventa The Badfinger (dal nome di lavoro della demo di With a little help from my friends che si chiamava Bad finger boogie, dato l’infortunio di Lennon ad un dito). La formazione, che già ha accolto Thomas “Tom” Evans a voce e basso, ora fa entrare Joey Molland a chitarra e voce, completando dunque quella che è la line up classica della band: Pete Ham, Tom Evans, Joey Molland, Mike Gibbins (batteria). Siamo ormai nel 1970 e finalmente arriva il primo disco vero e proprio, anche se un lavoro per la Apple era già stato prodotto come the Iveys. E’ No Dice e contiene dei bei pezzi come Believe Me e poi due capolavori: No Matter What e soprattutto Without You. Vi sembra di avere già sentito questo titolo? Ovviamente sì. Il pezzo venne in realtà lanciato in orbita dall’interpretazione di Harry Nilsson e poi in una versione più mielosa ma decisamente fortunata di Mariah Carey. A parere personale, però, l’originale dei Badfinger è insuperabile. Qui la bellissima melodia non viene stra-zuccherata da coretti, archi ed orpelli e nasce invece una canzone molto romantica ma equilibrata, cantata divinamente dalla voce di Pete Ham, senza pomposità, una vera e propria perla. E si va col secondo lavoro a nome Badfinger: Straight Up, 1971.  Se No Dice era un bel disco, questo è ancora meglio. Name of the Game, Day After Day sono canzoni che farebbero la fortuna di qualunque band e poi c’è un pezzo di qualità davvero superiore: Baby Blue. Mettiamolo per un attimo da parte, ma teniamolo a mente, avrà un suo posto nella storia a seguire. E la band inizia ad essere considerata come la miglior risposta…all’assenza dei Beatles, ormai arrivati al capolinea. Lo stile musicale generale effettivamente richiama molto i Fabs specie sul versante McCartney/Harrison, senza però scadere mai nella copia o men che mai nel banale, nel troppo facile. Straight Up inizialmente è prodotto da George Harrison che poi però, impegnato col Concert for Bangladesh, lascia il campo a Todd Rundgren. Ed a proposito di Bangladesh, recuperate la versione di Here Comes the Sun da quel live, il duetto fra Harrison ed Ham, chiamato ad esibirsi col Quiet Beatle, è bellissimo. Questi due dischi, comunque, No Dice e Straight Up, hanno riscosso un buon successo ed il nome ha iniziato a girare anche negli USA. Qui però iniziano i guai e sono guai seri. Perché, vi domanderete, se questi Badfinger hanno fatto dischi stupendi, se hanno avuto questa vicinanza coi Beatles, se hanno iniziato a costruirsi un’apparente rispettabile carriera non hanno questo status di superstar, sono rimasti semi sconosciuti tanti a lungo? Nella storia della musica moderna a volte le band prendono decisioni che poi si rivelano tragiche e nel loro caso la decisione sbagliata ha un nome e cognome: Stan Polley, che va a prendere le redini della band al posto del vecchio manager Bill Collins. E praticamente, lucra su tutto. Fa dei suoi clienti degli stipendiati arrivando a dividere con la band entrate da 100mila dollari tenendone però 75mila per se’. E ruberie del genere. Torna in mente, ogni volta, Have a Cigar dei Pink Floyd, no? E quindi, come da copione in questi casi, arrivano contratti lucrativi solo per il manager con obblighi per la band di sfornare lavori a ripetizione e via dicendo. L’ultimo lavoro per la Apple è Ass e la copertina, con un somaro girato di coda ed una mega carota disegnata in cielo, già è riassuntiva del momento. Apple of my Eye è un buon singolo ma il momento topico sembra già passato. La band è ormai sotto contratto con la Warner Bros., ma i successivi dischi Badfinger e Wish You Were Here (da cui è tratta Dennis, in questa compilation) non arrivano neanche nella classica Top 100 di Billboard. All’insuccesso discografico si sommano le angosce personali. Sono rimasti praticamente senza una lira, il sogno di vivere di musica sembra al tramonto. Pete Ham, maledizione, non tiene botta, e sommerso dai debiti si uccide nel garage della sua nuova casa nel Surrey, quella casa che aveva paura di non riuscire più a pagare. Aveva anche dato segni di profonda instabilità mentale, negli ultimi tempi, arrivando a spegnersi sigarette sulle braccia, sulle mani. Quelle mani che gli servivano per suonare. E’ il 23 Aprile 1975, lui lascia una compagna, già con una figlia e che a sua volta era in attesa del loro primo figlio insieme. I Badfinger in pratica finiscono qui. Ham era il principale autore della band, parte qualche pennellata di Evans. Scomparso lui, scompare la fantasia. I restanti membri, per vivere, devono darsi a lavori meno artistici, fare i tassisti, i tappezzieri e impieghi simili. Ad un certo punto però, due musicisti americani contattano Joey Molland per formare una nuova band. Joey richiama Tom Evans e per un momento la magia sembra potersi creare. Ed invece no, ancora no: ancora dissidi, litigi. Tom Evans imita tragicamente Ham e si impicca anche lui, a casa. Ironia della sorte, nel momento che più sembra tragico, è lo è davvero, la rinascita se non altro a livello di giustizia musicale. La cover di Mariah Carey, menzionata prima, porta soldi, tanti soldi, nelle tasche dei superstiti e delle famiglie di chi non c’è più. E poi, ricordate Baby Blue? Nel 2008 negli USA va in onda una serie tv che acquista una notorietà planetaria: Breaking Bad. La serie si chiude nel 2013. Nell’ultima scena dell’ultima puntata, in un momento drammatico e risolutivo, parte una canzone. Quella canzone: Baby Blue, appunto. Che fa conoscere o ri-conoscere per chi li aveva dimenticati, questi ragazzi dalla storia bella e sfortunata. E porta finalmente il nome dei Badfinger la’ dove doveva stare da sempre, nell’Olimpo dei grandi. Questa compilation uscì per l’appunto sull’onda creata da quella serie tv. E’ un lavoro che da’ una bella panoramica sulla band, un lavoro che non dovrebbe mancare in una collezione di chi si ritiene amante della musica bella, fatta con amore. Sì, la ricomprerei anche 100 volte. Ascoltatela: (qui o qui)

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