
Audio Chaos – Uroboro
(2022, Garmo Mandica Music Production)
by Tommaso Salvini
Ricordo di tempi in cui la stampa prezzolata nazionale, presa nel cimento di fare da trampolino di lancio a nuovi fenomeni fatti di tante chiacchiere e polistirolo, si esprimeva di frequente in una strana definizione, un po’ buffa, un po’ nazionalista, un po’ forse anche ridicola: “Nuovo rock italiano”. Piano piano poi si son fatti più furbi e hanno cominciato a riciclare termini esotici nel vano tentativo di crearne una nuova formula italica: ecco che certo pop anni ’80, figlio dei Camerini e degli Ivan Cattaneo, veniva rivenduto come Emo, il cantautorato dei Rino Gaetano come Indie Rock Italiano e, più di recente, la rimasticazione sgrammaticata di certo, già di per sé pessimo, hip hop anni ’90 come Trap… mancare il segno volutamente col solo proposito di creare attenzione a mezzo di polemica. Furbi e al passo con le pratiche da social network…ma comunque patetici. Nel mentre tutto questo avveniva, chi faceva davvero Rock, anche incurante di certe pratiche del web, continuava a sperimentare, confrontarsi con nuovi suoni e idee provenienti sia dall’estero che entro i confini…ed è esattamente da qui che sbucano fuori gruppi come gli Audio Chaos, un concentrato di suggestioni Shoegaze, Post Rock, Post Punk e dosi abbondanti di quella sperimentazione narrativa, nei testi, che trova, certamente, nei Massimo Volume uno dei suoi picchi ma che, in realtà, proviene da molto più lontano…mi verrebbe da citare L’Eliogabalo del grandissimo Emilio Locurcio, forse una delle prime testimonianze della commistione tra musica e racconto…La schizofrenia industrial guida un brano perfetto come l’iniziale L’Ultima Aurora Boreale: basso e batteria in primo piano, caos, frustrazione, il giudizio universale che irrompe nella vita di tutti i giorni; una voce fredda, atona, abulica, si getta in una fredda cronaca da ultimo giorno del genere umano. Parole che si uniscono alla chitarra in un mestiere lancinante ed inquietante: dissonanze nel verbo come nel suono, un funerale di entusiasmi e crisantemi. Ci si ritrova quindi a ballare sulle macerie dell’universo in Adesso E’ Il Momento, un Post Punk danzereccio, un Post Punk da discoteca abbandonata a picco di una scogliera e così, senza pensarci “…la baraonda ci sprofonda” e cadiamo giù: gli Audio Chaos, come un magico pifferaio, ci guidano verso la fine, verso il fondo. CCCP-T-Shirt brano memorabilia di un’epoca sepolta, souvenir di un mondo dimenticato: commistione tra musica e politica, pratica scaduta e incomprensibile ai giorni nostri. Il gruppo emiliano qui viene citato, tributato, il narratore dismette il suo ruolo e si fa cantante alla Ferretti; l’esperienza di una delle più grandi ed influenti formazioni italiani qui viene passato sotto la pressa della storia e c’è lo restituisce drammaticamente per quello che è oggi: una cartolina, una vecchia foto che stimola nostalgia, una semplice T-shirt appunto, materiale da consumo. Prodursi in un tributo cavandone fuori una critica, credetemi, non è un esercizio facile ed in questo gli Audio Chaos son maestri: il loro pessimismo, il loro nichilismo creativo, sono caratteristiche forti che segnano e danno personalità alla loro opera. Notevole. Anche di fronte al basso prepotentemente Joy Division in Il Senso Della Profondità, si coglie comunque la capacità del gruppo di assimilare in sé linguaggi antichi, mescolarli e, da questa operazione, ricavarne di nuovi: il brano esplode in un finale Post-Rock dove la voce si apre ad una filastrocca alla CSI. Tutto si scontra per venir distrutto e dalla distruzione di crea nuova linfa, nuova ispirazione…I Massimo Volume, con il loro Post Rock dai ritmi dolci ma dalle armonie ostile, sbucano fuori solo a metà disco, nonostante un ascolto distratto potrebbe descriverli come riferimento principale. Ma il riferimento è puramente musicale, la voce narrante in realtà, rispetto a quella di Clementi, è più funzionale alla metrica e meno figlia della necessità di narrazione. Riesplorando il passato ci si ritrova improvvisamente a viaggiare Attraversando Lo Spazio Tempo pur rimanendo ancorati alla tradizione: ritmo roccioso in un quattro quarti sostenuto, solidità armonica al pari di un punk rock che si sposa con la New Wave e, di nuovo, col Post Rock “Credere di scegliere, credere di governare” delirio di onnipotenza in un’era dove l’idea di potere perde ogni giorno, tra guerre e pandemia, di senso, compiutezza e reale funzione: stiamo viaggiando attraverso lo spazio tempo e cogliere la miseria delle istituzioni è l’unico biglietto possibile…Riportandoci su atmosfere alla Massimo Volume, tra Post Rock autoriale e narrato freddo e distante, La Rapina Al Bordello si rivela, nei suoi sei minuti di esecuzione, come il brano più ispirato e stimolante del disco perché, certo, il pezzo ricorda gli MV nel suo attacco ma poi si frantuma in una pausa psichedelica, introspettiva: la ritmica tiene botta, ostinata, mentre tutto intorno si muovono leggeri accenni di Caos, frammenti di pensieri impazziti, leggere e soavi pennellate che, imponendosi con parsimonia, conducono verso un finale lasciato andare, suggestivo, devastante. Nessuna esplosione finale, solo abbandono. L’esplosione arriva nel brano successivo, Punto Di Non Ritorno: una marcia veloce ed inesorabile verso il nulla, una danza frenetica, Post Punk- Punk Rock-Industrial-Delirio, nuovamente diretta versa il fondo di una scogliera “Diventiamo prodotto e consumatore” e ci lasciano così, con una condanna, senza possibilità di replica. Il pezzo si spezza all’improvviso, cala il sipario, il pubblico, dopo un breve attimo di esitazione, si produce in un applauso chiedendo il bis,…gli attori non concedono il bis…dal palco inizia a volare sangue. Da Roots! è tutto e come sempre buon ascolto (qui o qui).