Roots! n.449 maggio 2022 African Disciples – Place Called Earth

African Disciples - Place Called Earth

African Disciples – Place Called Earth

(1983, Zion Gate)

by Simone Rossetti

Si dice Giamaica e subito si pensa al sole, alle sue spiagge, alle sue “erbe aromatiche”, al reggae, a Bob Marley, al rastafarianesimo (questo un po’ meno) dimenticandosi però (nella più classica ignoranza da cartolina) di una storia ben diversa; una “terra” popolata principalmente da discendenti di schiavi provenienti dall’Africa sub-sahariana, una indipendenza dal Regno Unito ottenuta solo nel 1962 alla quale seguirono emigrazioni di massa verso gli Stati Uniti e la vecchia “Terra Madre” (no, non l’Africa ma su questo ci ritorneremo), una crisi economica e sociale violenta, dura, al limite di una guerra civile. Su tutto e malgrado un tutto questa musica, un ondeggiare eterno verso “altro”, luce, speranza, pace; no, non parleremo di Bob Marley ed i suoi Wailers ma di questi African Disciples (nome non a caso) e del loro album di debutto (dopo il quale almeno noi ne abbiamo perse “le tracce”) Placed Called Earth pubblicato in un oarmai preistorico 1983 per la Zion Gate; reggae, rocksteady e roots ovvero radici, quella diaspora/dispersione (stiamo parlando di quella africana, imposta, subita) sulla quale non entreremo nel merito in quanto “bianchi” (almeno al di “fuori”, a pelle e di pancia) ma questa musica “c’è”, resta ed a prescindere da un colore o da una diaspora “qualsiasi” (ritorneremo anche su questo) e c’è per essere ascoltata, per essere condivisa, per goderne e perché forse oggi la parola “diaspora” non è più solo una questione di “terra/confini” ma di una misera realtà quotidiana. Place Called Earth è un album per tutti i “dispersi”, è una musica-faro ad indicare una via, più che un luogo (Africa) un non-luogo, sicuramente migliore; ad aprire questo bellissimo album (bellissimo, tutto è discutibile ma per noi si, lo è) una solenne High And Low Place, reggae e dub style in un incedere “serio” ed “ancestrale”, a seguire una malinconica (ovviamente sempre con ritmo in levare) Jah Works e che magnifico sentire (a proposito, gli African Disciples, Everton Bailey “Rugs” alla voce, Patrick Bedward “Beddy” alla chitarra e voce, Donald Coppin e Musa Wadada alle tastiere, Huntely Vassel “Stitch” alle percussioni e voce, Donald Maitland “Drumford” alla batteria e Neville Johnson e Raymond Codner al basso); tempi ed atmosfere che rallenteranno nel rocksteady di Surviving un soul morbido e sensuale che vi trascinerà altrove ma non è ancora finita, c’è il reggae “in formato classico” di Place Called Earth, le più “socialmente impegnate” Babylon, Complex World e Africa per concludere infine con due pezzi soul-rockstedy di gran classe, Row Natty Row e Jah Children; speranza, futuro, armonia, radici. Da Roots! è tutto e come sempre buon ascolto (qui o qui).

Dedicato a chi una diaspora qualsiasi la vive “dentro” e sulla propria pelle, tutti i cazzo di giorni.

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